mercoledì 23 maggio 2012

Meglio chiarire da subito. Premesse a sucessive considerazioni


Eh si...meglio chiarire da subito alcuni concetti, come dire "patti chiari amicizia lunga".

Prima di proseguire con successive riflessioni vorrei porre delle premesse per non essere frainteso. Capiterà sovente in questo blog di leggere considerazioni che in qualche modo implicano l’idea (o il concetto) di progresso che danno per assodata una logica di evoluzione nell’esistenza della civiltà umana. 

Il senso in cui io intendo evoluzione però, non va confuso, tengo a precisare, con l’idea kantiana di sviluppo umano. L’umanità non risponde a una sorta di legge universale o, meglio, ad un insieme di leggi universali. L’umanità non giunge ad uno stadio di adulto dopo una fase infantile dove necessità di esser presa per mano, come, appunto, un bambino che si smarrisce senza il genitore.

L’illuminismo prima e il positivismo poi, hanno trasmesso un’immagine del progresso e dello sviluppo umano come processo, come essenza ontologica, potremmo dire, dell’uomo nel suo essere nel mondo. In tal modo la storia dell’umanità potrebbe essere nient’altro che la storia della sua evoluzione. Se è mia convinzione che il progresso sia in qualche modo connaturato all’umanità non lo è, però, per motivi ontologici, ma per cause ed effetti che si accavallano e s’incrociano determinando a volte anche casualmente evoluzioni o arretramenti nella Storia visibili- e definibili forse come tali - soltanto a posteriori.

Di più. Il progresso come lo s’intende oggigiorno nelle dispute massmediatiche credo non debba essere confuso con l’idea elementare di “progresso industriale”. L’evoluzione della struttura economico-produttiva della teoria marxiana non è così banale come sostengono alcuni sia a favore che contro, per questo motivo non hanno senso, o ne hanno di certo pochissimo, le speculazioni attorno alla decrescita felice e amenità analoghe. L’istituirsi di un sistema comunista nell’accezione marxiana non prevede a mio avviso una quantificazione del progresso in termini di produzione di merci e servizi. Tutto ciò significherebbe nient’altro che banalizzare la teoria di Marx che prevede si il passaggio da un sistema dominato dal capitale ad un sistema senza classi e il conseguente sviluppo delle forze produttive, ma dove quello stesso sviluppo non è definito in semplici termini di incremento di produzione di merci. 1   

Di seguito tenterò di entrare un po’ più nel merito del concetto di sviluppo come è da me inteso, sperando di non confondere, invece di chiarire, quel che dovrebbero essere chiarito.

Nel momento stesso in cui l’uomo abbandona la propria animalità selvaggia e primordiale, si separa dalla natura e dall’indistinzione, prende coscienza della propria individualità, della solitudine prodotta dall’isolamento originato dalla consapevolezza di essere “uno”, individuo separato dagli altri, dalla natura da cui proviene. Ma nel contempo può essere umano ed evadere dall’animalità solo vivendo tra gli altri uomini, dunque soltanto attraverso la consapevolezza della propria umanità e riconoscendosi negli altri è cosciente di sé stesso o è destinato a regredire allo stato selvaggio.

(…) significa riconoscere in sé e negli altri la qualità di esseri umani, capaci di sentimenti forti, temperati dalla presenza dei lumi della ragione e per questo degni di rispetto in quanto segnano l’appartenenza comune alla specie umana. Lévinas (1987) direbbe che il volto dell’altro ci chiama e ci fa scoprire il nostro proprio volto e il diritto di ciascuno a un volto che non si può distruggere. 2

La condizione dell’umanità di dimostrare sempre più a se stessa tale consapevolezza per portarla fuori dalla barbarie non può che essere progressiva, ma ciò non significa che la storia sia a fortiori evoluzionistica e dunque deterministica. L’uomo è sempre soggetto a ricadere all’indietro e il processo di civilizzazione non è mai compiuto e non garantisce la continuità del progresso

Una civiltà impiega secoli a costruire le sue fondamenta, i suoi monumenti, la sua arte di vivere. Ci mette appena qualche anno o alcune decine d’anni a distruggersi (l’esempio nazista o dei khmer rossi possono bastare) e ancora meno a distruggerne altre. 3

Non credo risulti da qualche parte negli scritti di Marx che il progresso umano si compia definitivamente con la trasformazione del presente sistema capitalistico-borghese. Al contrario Marx afferma una continua tensione agente nei diversi piani dei sistemi di produzione: nei rapporti economici, dunque, ma anche sociali. E' vero che i rapporti sociali discendono dai rapposrti di produzione, ma la realizzazione totale in un sistema senza classi non ha esito scontato. Ed è appunto soltanto a posteriori che potremo giudicare l'avvenuta realizzazione.
I rapporti sociali sostanzialmente non cesseranno di essere conflittuali sin quando non avrà completo dispiegamento l'assenza di classi.

La propaganda liberista e capitalista ha convinto molti che l'unica alternativa all'utopia egualitaria e di giustizia sociale fosse il raggiungimento del benessere economico per tutti, attraverso l'integrazione (l'assoggettamento in altri termini) dell'economia capitalistica sul piano mondiale, sostituendo quell'utopia cosiddetta socialista con l'utopia tecnocratica, borghese, fondata sulla “democrazia” dell'informazione. L'integrazione doveva avvenire per mezzo di un mito: la pacificazione raggiunta con la redistribuzione "democratica" delle risorse.

Questo mito, che ha radici nell'ottocento, esaltato con le "autostrade dell'informazione" nella contemporanea società detta da alcuni della terza era, ha contribuito ad accelerare il progetto di dominio del capitale Oggi possiamo vedere gli effetti di quell'utopia, se vogliamo, in tutto il mondo. L'introduzione di tecnologie informatiche è servita ad espellere dal circuito produttivo milioni di lavoratori (effetti della globalizzazione), senza offrire alternative economiche capaci di avviare il reinserimento dei lavoratori esclusi, accrescendo sul piano mondiale un proletariato che, secondo alcuni proclami ideologici dell'ultimo ventennio, sembrava (o doveva sembrare) in via di estinzione.
Le tecnologie applicate al progresso capitalistico sono servite e servono soltanto ad accrescere profitti e catastrofi finanziarie che affamano sempre più i lavoratori di tutto il mondo e disorientano politicamente non solo i governi, ma l’intera opinione pubblica.

L'approvazione dell'ideologia liberista e capitalista ha creato le condizioni politiche e sociali per l'emergere di un potere che sta trascinando il mondo intero nella spirale di una "guerra infinita". In Italia, come in molti altri paesi, si cerca di far tornare indietro la storia a tempi che, non dobbiamo dimenticare, hanno provocato milioni di morti.
Un altro effetto sul piano internazionale è quello di aver moltiplicato la costituzione di nuovi stati (attualmente 192) e il numero di conflitti, con la conseguente perdita di altri milioni di vite umane. L'egemonia dei paesi capitalisti, inutile dire, in special modo quella degli Stati Uniti, ha riportato in "onore e gloria" le strategie geopolitiche studiate originariamente dalla Germania nazista. Questo dovrebbe preoccupare! Preoccupazione aggravata dal fatto che nessun altro potere politico è in grado di opporsi al dominio militare di un solo paese. L'invasione della Polonia da parte di Hitler aveva sollevato l'opposizione di intere popolazioni, l'invasione americana dell'Afghanistan e dell'Iraq, sostenuta dalla falsa propaganda antiterroristica, ha invece incontrato il plauso, seppur a volte del tutto ideologico, di decine di paesi e dei loro mezzi di comunicazione di massa ufficiali. Non sono servite le proteste di milioni di persone in tutto il mondo.

Questo, di nuovo, dovrebbe preoccupare! Il fatto che pochi paesi al mondo possano decidere, beffandosi di ogni opposizione, di perpetrare stragi di civili perché nessun altro paese possiede la forza sufficiente per intervenire. E non s'intende intervenire con la violenza, ma nemmeno con ritorsioni economiche o, sul piano politico, per mezzo delle diplomazie, anzi, semmai in caso di opposizione le si deve subire. E' il caso di Francia e Germania durante l'intervento in Iraq.
Opposizione ideologica, certo, legata a calcolati interessi economici e finanziari, ma di esempio sufficiente a mostrare lo strapotere del nuovo imperialismo.
Questa spirale sta trascinando intere popolazioni in tragedie infinite. La stessa storia si sta ripetendo anche in Libia dove il numero dei morti sino ad oggi e prevedibilmente nel prossimo futuro, prima cioè che si raggiunga un assestamento politico, saranno sicuramente un numero impressionante. Molti di più di quanti il regime totalitario di Gheddafi avrebbe mai potuto perpetrare se avesse vissuto ancora trent’anni.

Non che i secoli precedenti non avessero conosciuto i loro massacri. Tuttavia il xx secolo ha conferito al dominio dell’omicidio di massa un principio di legittimità. 4

credo che tale dichiarazione dovrebbe far riflettere più di quanto possa fare una lettura veloce, perché di primo acchito potrebbe essere considerata più scontata di quel che è in realtà. Ci si dovrebbe soffermare soprattutto su di alcune implicazioni contenute nella parola “legittimità” .
In questa affermazione il “principio di legittimità" cui si riferisce Eugene Enriquez non dovrebbe essere interpretato come se un qualche ordine giuridico avesse assorbito costitutivamente norme tese a legittimare i massacri perpetrati nel recente passato (anche ammesso che ciò possa in qualche momento essersi relativamente verificato), e nemmeno l’altrettanto semplicistica constatazione che gli Stati hanno il monopolio legittimo della violenza.

L’affermazione di Enriquez è, a mio modo di vedere, ben più radicale e significa che gli stermini e i massacri hanno distinto a tal punto la storia in generale, e la vita delle persone in particolare, del secolo scorso (e a quanto pare ciò sta accadendo anche per quello presente), che l’omicidio di massa è diventato un fenomeno non più in grado di scuotere la coscienza collettiva o il valore etico della vita delle persone. Habermas in “La rivoluzione in corso” descrive esattamente la stessa idea a proposito dell’atteggiamento della maggioranza dei tedeschi in epoca nazista . E’ questa indifferenza di fronte alla morte di milioni di esseri umani che più turbava allora e dovrebbe tornare a turbarci oggi.
Come osserva Hobsbawn

(…) questo secolo ci ha insegnato, e continua a insegnarci, che gli uomini possono imparare a vivere nelle condizioni più brutali e teoricamente intollerabili, non è facile cogliere fino a che punto (purtroppo in misura sempre crescente) vi sia stato un regresso verso ciò che i nostri antenati ottocenteschi avrebbero definito barbarie. 5

I motivi che hanno portato l’umanità a tali limiti sono certamente molteplici e difficili da sondare. Se mi è lecito vorrei individuare almeno alcuni di quei motivi (oltre quelli cui è stato possibile accennare sin qui), anche se in modo molto superficiale, ovviamente tralasciandone molti altri.

•            Ciò che cambiò alla svolta del secolo, e subì un’alterazione irreparabile, fu il sapere stesso come modo d’essere preliminare e indiviso fra il soggetto che conosce e l’oggetto della conoscenza. 6  Se pensiamo che ancora nel 1750 Buffon ipotizzò che la Terra avesse 75.000 anni e la vita era apparsa soltanto da 35.000 anni, ma fu considerata all’epoca una “buffoneria”, e confrontiamo quel paradigma culturale (così lontano ad esempio dall’idea di poter stabilire scientificamente la datazione della comparsa della vita sulla terra) all’attuale (impegnato nella datazione dell’intero universo) è legittimo pensare che quella svolta abbia avuto per l’umanità l’effetto di un salto nel vuoto. Non è sufficiente infatti rilevare semplicemente l’accumularsi delle conoscenze lungo due secoli di storia per pervenire agli eventi che hanno permesso la fissione nucleare. La mentalità del secolo scorso avrebbe ritenuto la maggior parte delle tecnologie esistenti ora il prodotto di un’immaginazione malata, oggi la realizzazione di alcuni progetti che parrebbero fantascientifici sono solo questione di tempo. E’ accaduto qualcosa che ha portato l’uomo oltre se stesso. Abbandonando ogni riferimento all’organicità e all’unità con la natura, spezzando definitivamente il rapporto tra le “parole e le cose” e trasformando il discorso in linguaggio, per ricordare Foucault, l’uomo ha di fronte a sé l’oscurità nella quale dovrà ritrovare sé stesso: la profondità apparentemente confusa di quelle analisi che spalancano il baratro dell’ignoranza dello sguardo rivolto all’interno. Il panico di sporgersi per guardare il fondo è verosimilmente una resistenza psicologica, un’attivazione del meccanismo di difesa che ancora ci impedisce di immergerci nel buio del nostro inconscio.

•            trasmissione del processo competitivo che ha come conseguenza l’autoriproduzione della lotta fino all’eliminazione del concorrente. Credo che questo sia una delle contraddizioni intrinseche al sistema capitalistico. E’ vero che opera il compromesso a condividere il potere, da cui deriva la “cooperazione capitalistica”, ma è altrettanto vero che questa è sempre soggetta a crisi che ne aggravano la stabilità.

•            L’illusione prodotta dall’ideologia capitalista e liberista che l’ascesa ad un livello economico più alto potesse affrancare dallo sfruttamento. La logica sviluppista, improntata al rastrellamento e al saccheggio delle natura e alla conseguente conquista del monopolio delle risorse da parte di pochi ha funzionato così bene che quasi la totalità del mondo economico, scientifico, intellettuale e via via sino allo strato sociale più basso, in generale, il pensiero liberista ha lavorato perché trionfasse questo principio. E’ vero, la possibilità di estendere all’infinito questo sviluppo era un’illusione e oggi pare quasi antiquato parlarne, quasi che se ne sia preso coscienza e sia stato superato, ma, nonostante tutto, i criteri economici di sviluppo inteso come semplice incremento di beni e servizi reggono ancora i programmi dei governi sia di destra che di sinistra.

Il fatto che la contraddizione sviluppo economico/benessere generale appaia in tutta la sua evidenza non conduce direttamente alla soluzione dei problemi.
Queste considerazioni stanno a dimostrare che non è lo sviluppo economico in sé e sé che consente di raggiungere una condizione di benessere per tutti. Le tecnologie, lo sviluppo industriale e i miglioramenti economici possono portare al benessere generale solo quando smetteranno di essere improntati al profitto e saranno accessibili a tutti. E questo, a mio avviso, non può essere che alla base dell' internazionalismo.

Note
1 Prendendo a prestito e rielaborando un’argomentazione di Maurice Dobb in “Economia politica e capitalismo” e muovendosi dall’idea di progresso come possibilità di estendere i benefici di un dato ritrovamento tecnico a livello di massa (in sostanza il socialismo) e non come avviene nel sistema retto dal capitale soltanto a “cascata”, se, per esempio, una tecnologia consente di ottenere un miglioramento nel risparmio energetico nella costruzione di case la produzione potrà essere diretta in modo cooperativo per estendere a tutti il vantaggio ottenuto dal miglioramento senza preoccupazione del profitto. L’attività produttiva non sarebbe condizionata, dunque, dai maggiori profitti ottenibili in settori teoricamente più remunerativi (logica che sta alla base del sistema economico retto dal capitale).
2 Eugene Enriquez - Uccidere senza colpa (Testo originale presente a lato)
3 Op. cit.
4 Op. cit.
5 Jurgen Habermas - La rivoluzione in corso - Feltrinelli - 1990
6 Eric Hobsbawn – Il secolo breve – BUR - 2000
7 Michel Foucault – Le parole e le cose – Rizzoli – 1998, pag. 273
  lo stesso Voltaire riteneva i fossili uno scherzo della natura e la teoria di Alfred Wegener della “Deriva dei Continenti” risale soltanto al 1915. Le prime ipotesi sull’origine dei fossili risalgono al 1830 per opera di Lyndell (Principi di Geologia) che per la prima volta attraverso uno studio sistematico mise in discussione pubblicamente l’autorità della Bibbia.  

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