martedì 22 marzo 2022

Alcune riflessioni sulla Storia

 

Avvertenza.

Questo articolo può essere considerato a tutti gli effetti una lunga nota a quello precedente

https://umanitapolitica.blogspot.com/2022/03/la-cina-e-vicina.html

di cui si consiglia la lettura.


§


Si potrebbe dire che con la crisi del 2008 la libertà negli USA si è ridotta ancora di più?

E quali cambiamenti ha prodotto nel controllo del sistema del capitale?

Cosa accadrà alla prossima crisi?

Ha un senso cercare le spiegazioni delle crisi del sistema?

Se si comprendono i motivi è possibile intervenire in modo che non si verifichino di nuovo?

E ancora: sarebbero evitabili o hanno carattere deterministico?


Il tipo di risposte possibili danno una prospettiva diversa al problema storico e alla conseguente sua concezione.

Poniamoci ad esempio la domanda: è possibile comprendere il motivo delle crisi economiche e si possono evitare in caso positivo?

Ammettiamo che si siano scoperte le ragioni che le determinano: è possibile evitarle?1

Soffermiamoci solo al “sì” o “no” di quest’ultima domanda.

Se rispondiamo “sì” significa che potremmo intervenire deterministicamente sugli eventi futuri. In che modo? Se le crisi sono prevedibili e viene impedito che si verifichino la storia proseguirà con eventi diversi.

Se rispondiamo “no” significa forse che il futuro non è determinabile?

Dipende.

Se rispondere “no” vuol dire semplicemente che il sistema nel suo complesso non ammette soluzione perché le crisi sono parte costitutiva del sistema stesso concepiamo comunque una storia deterministica. Se non possiamo impedirle significa che il sistema procederà in un modo determinato. In altri termini esiste un qualche tipo di dinamica interna al sistema che non possiamo cambiare.

Se rispondiamo “no” nel senso che non siamo ancora in grado di risolverle non facciamo altro che ritornare al “sì”. Dunque non siamo ancora in grado, ma potremo esserlo in un futuro. Allora la storia è deterministica per gli stessi motivi citati sopra.


Il problema che concerne l’idea che la storia possa essere regolata da leggi [e quindi essere deterministica] se non è spinta all’estremo (storicismo radicale) può avere un qualche tipo di dimostrazione. A mio avviso il problema deve essere interpretato diversamente dall’ammettere che esistano leggi storiche accertabili. O, per dirla con Popper, falsificabili.

La questione che riguarda i processi storici, però, è alquanto diversa. Ed è, a mio avviso, ciò che deve interessare per comprendere la sua possibile evoluzione nel futuro.

Gli uomini nel contesto di determinate condizioni storiche non hanno di fronte a loro infinite possibilità di risoluzione dei conflitti o di qualsiasi altra criticità (comprese crisi economiche o finanziarie). Sono dominati e condizionati da vincoli di varia natura (condizioni economiche, sociali, culturali) e dunque reagiranno a quelle determinazioni in modo simile in base alle effettive possibilità2.

I conflitti sociali per esempio non offrono milioni di modi diversi per essere pacificati (nel caso s’intendano pacificare): il compromesso è l'unico modo, pur potendo essere realizzati con metodi e tempi diversi.

E, ovviamente, non è detto che quel particolare conflitto venga in qualche modo pacificato pur essendovi la volontà di perseguire la pacificazione, ma sapremmo che in determinate condizioni non era stato possibile risolverlo.

L'altro metodo di risoluzione di un conflitto è la repressione, ma la logica non cambia. La repressione determinerà degli effetti futuri che potrebbero essere  di diverso tipo: politici, sociali, economici, ecc..

Non esiste, mi pare, un periodo storico in cui non si siano verificati conflitti, anche se per ragioni diverse. Questi movimenti determinano una tendenza di sviluppo nella storia umana. Non sono leggi storiche, ma processi leggibili e interpretabili attraverso la conoscenza dei fatti. La difficoltà legata all’interpretazione dei fatti non confuta la potenziale capacità di un’interpretazione obiettiva relativa allo sviluppo della cultura storica di quel dato momento.

Dalle lotte ottocentesche per la giornata lavorativa di 12 ore si è giunti allo statuto dei lavoratori non in un solo balzo, bensì passando attraverso diverse fasi. Attraverso un movimento di cui oggi possiamo vederne il dispiegarsi.

Nel riflettere su queste considerazioni mi è balzata in mente una corrispondenza con l’evoluzionismo. Non perché la storia debba essere necessariamente evoluzionistica e non intendo affermare tale concezione. Non soltanto perché non ne ho le competenze e le conoscenze necessarie, ma perché non credo a questa concezione dell’evoluzione umana in senso storico sociale.

Non c’è dubbio in ogni caso che dal punto di vista tecnico, scientifico e delle forze produttive si sia gradualmente passati da uno stadio in cui l’uomo era cacciatore-raccoglitore a costruire il supercomputer Fugako costituito da circa 159.000 server e una capacità di calcolo di oltre 400 milioni di miliardi di operazioni al secondo e in grado di predire gli Tsunami.

Ora, potrebbe essere relativamente vero che le scoperte siano casuali3, ma la casualità si avvera quando esistono le condizioni generali perché le renda possibili.

Perché parlo di evoluzionismo? Si consideri nella stessa misura l’evoluzione che ha portato all’attuale presenza dell’homo sapiens sapiens. La mutazione che ha portato alla sua comparsa sarà sicuramente casuale4, ma poteva prodursi prima dell’esistenza di quella sorta di scimmione bipede che ha popolato la terra in una determinata era storica?

Possiamo pensare che l’essere umano attuale regredisca per mutazione ad un nuovo scimmione bipede?

Allora, nella stessa misura, è possibile in qualche modo predire l’evoluzione dei processi storici?

Sarebbe stato possibile passare [senza fasi intermedie] direttamente dalla forma di economia presente nell’impero romano all’attuale sistema del capitale?

Dunque, ammesso che non esistano leggi storiche, mi pare che la storia umana segua comunque dei processi attraverso i quali è possibile individuare una tendenza nella sua evoluzione.

Trovo assurdo, quanto il pensare che l’attuale essere umano regredisca ad uno stadio scimmiesco, credere che i processi storici possano invertirsi o deviare tanto profondamente da una curva tendenziale al punto di procedere in modo casuale. Il fatto che le civiltà siano passibili di declino (e anche di questo abbiamo nozione) o che possa darsi il caso di una regressione sociale ed economica è un altro discorso. Potrebbe verificarsi una guerra nucleare che sconvolga completamente le condizioni presenti5, oppure l’avverarsi di eventi legati all’economia politica che facciano tornare indietro (in un modo che non sappiamo) le lancette della storia, ma dati eventi non prevedibili la curva tendenziale dei processi non ha ragione di cambiare.

Non è ridurre la Storia a un fatto naturale, ma la possibilità di predire la tendenza di un processo attraverso gli eventi che si sono succeduti nel tempo: riconoscere che esistono diverse fasi che non fanno balzi secolari. In linea generale mai avvenuti nella Storia oppure la storia che conosciamo è tutta falsa. Ipotesi a cui non è possibile credere.

Mi sembra lecito chiedersi: un supercomputer come Fugako potrebbe predire attraverso modelli matematici non solo il corso della storia entro certi limiti temporali, ma anche particolari eventi politici e sociali catastrofici?

Potrebbe essere inutile, forse, puntualizzare, dato il fine ristrettissimo di queste riflessioni, che la storiografia evenemenziale6 è di certo utile e importante, ma difficilmente porta alla luce l’insieme del movimento storico sottostante che può procedere in modo invisibile in un lungo arco di tempo.

Ciò che oggi ci appare estremamente dilatato e increspato tra due/tre secoli potrebbe apparici chiaramente attraversato da una curva la cui inclinazione non era manifesta.

La questione è: può essere intercettata quella curva?

Se “sì” in qualche modo la storia ha un corso deterministico se “no” la storia è del tutto caotica.

Pensare la storia per processi non è l’inveramento dello storicismo radicale.

Il prosieguo lo lascio al lettore.


1 Qui forse è opportuno fare una precisazione. Capire le ragioni delle crisi economiche periodiche del capitale non significa poterle evitare. Potrebbe essere possibile capirne le cause, ma non per forza potrebbero essere evitabili, e i motivi sono molti. Le crisi possono presentarsi con anticipo rispetto alla previsione oppure le condizioni reali-materiali potrebbero impedirne la risoluzione.

4 E non dimentico certo gli sviluppi della teoria dell’evoluzione di Darwin fino all’attuale teoria dell’evoluzione punteggiata.

5 Mentre scrivo la guerra in Ucraina è ancora in corso. Sono 10 milioni i cittadini fuggiti dalle loro case secondo TG24Sky. Si potrebbe avere la percezione che questa evento (sicuramente tragico) possa in qualche modo cambiare la storia. In realtà sono passati sotto i nostri occhi eventi altrettanto violenti e dolorosi soprattutto in medio oriente, ma agli occhi di qualcuno possono essere sfuggiti. Non penso sarà la guerra di Putin a cambiare il corso della storia: Gli effetti si vedranno negli equilibri internazionali e nelle strategie geopolitiche, come sempre, ma non intaccheranno il sistema del capitale che storicamente è ciò che conta in questo periodo storico.

domenica 20 marzo 2022

La Cina è vicina?

 

Passati ormai diversi anni i “quaderni rossi” di Mario Tronti1 (e Panzieri, ma scomparso da un po’) sono sbiaditi dal tempo e dalla luce del neo-liberismo. Oggi il loro colore è arancione (come le rivoluzioni colorate in linea con il cosiddetto post-industrialismo) e a volte talmente stinti che potrebbero prendere il titolo di “quaderni gialli” come la ex democrazia cristiana.

Parlare di post-industrialismo, come se esistesse, associato all’assenza di operai e riempiendo le piazze di moltitudini di persone tutto appare naturale e spontaneo.

Pensare come naturale l’ordine sociale permette al sistema omologante del dominio capitalistico sia sulle menti che sui corpi di creare nel pensare del singolo individuo un agire libero e indipendente.

La mente s’illude che le scelte concrete siano attuazione del proprio pensare libero e soggettivo ipostatizzando la reale dipendenza dal concreto modo di produzione. Solo in questo modo l’individuo si concepisce in quanto soggettività autonoma. E in tal senso il sistema del capitale non ha necessità di attuare in larga parte forme di comando autoritarie2. Il fatto stesso di pensare l’ordine sociale esistente legittimo e connaturato alla struttura del consorzio umano separa l’idea dell’ordine sociale dal modo di produzione rendendo il modo stesso di produzione come accidentale rispetto ai rapporti sociali e alla sovrastruttura del capitale.

In questo senso anche l’operare del lavoro mentale insito nei nuovi processi produttivi che prevedono la realizzazione demandata ai cosiddetti digital workers (si veda ad esempio il crowdwork3) viene percepito e trasferito su un piano astratto mascherando il lavoro concreto nella sfera del general intellect già individuato da Marx.

Posto sul piano sociale il concetto potrebbe essere esteso ed integrato dalle seguenti considerazioni di Milanovic in Capitalismo contro Capitalismo.

Trattando il tema dell’allineamento degli obiettivi dell’individuo con quelli del sistema l’autore sostiene che:


Secondo i più convinti sostenitori del capitalismo, questo risultato scaturisce dalla sua «naturalezza», ossia il fatto che rifletterebbe alla perfezione la nostra natura innata, vale a dire il desiderio di commerciare, di guadagnare, di migliorare la nostra condizione economica e di condurre una vita più comoda. Ma non credo, al di là di alcune funzioni primarie, che sia coretto parlare di desideri innati come se esistessero indipendente dalle società in cui viviamo. Molti di questi desideri sono il prodotto della socializzazione all’interno delle nostre società, e in questo caso all’interno delle società capitaliste, che sono le uniche esistenti.

[Capitalismo contro capitalismo. La sfida che deciderà il nostro futuro. - Di Branko Milanovic · 2020 Editori Laterza]


Facciamo un passo indietro.

Il rapporto servo/padrone dissimulava l’asservimento del lavoratore nella falsa percezione di detenere i mezzi di produzione e di progettualità del proprio lavoro. Lo sfruttamento veniva da questi percepito soltanto attraverso la pretesa del signore-padrone di appropriarsi con le corvèes di una parte del suo lavoro.

Con il sorgere del proletariato come soggetto di trasformazione l’operaio prendeva coscienza della sua alienazione dal lavoro attraverso la sostituzione della forza-lavoro per mezzo delle macchine, tale fenomeno rendeva manifesta l’appropriazione della restante produzione lasciando all’operaio la sola capacità economica di riprodursi.

Molto brevemente si può dire che la condizione di sfruttamento4 a cui è sottoposto il lavoratore divenne chiara nel passaggio da servo a lavoratore giuridicamente libero.

Giuridicamente libero, ma costretto al lavoro per un padrone che realizza capitale pagando soltanto una parte della ricchezza prodotta dalla forza-lavoro.

Ora, il problema attuale è complicato, come ho accennato inizialmente, dal massiccio impiego di lavoratori nella produzione per mezzo di strumenti informatici e digitali.

Cosa potrebbe accadere in futuro?

Quando la Cina avrà raggiunto la capacità di influenzare le dinamiche politiche dell’occidente in particolare quelle europee si sentirà dire dagli ideologi americani, in contraddizione a ciò che stato propagandato sino ad ora, che bisogna fermare la globalizzazione perché è inconciliabile con la libertà. Le reazioni e le resistenze alla “nuova via della seta” sono già dei sintomi.

Per fermare la disfatta del dominio del capitale liberal-democratico l’imperialismo americano sarà costretto a ridistribuire la ricchezza verso il basso per creare quello che Milanovic chiama capitalismo del popolo. Redistribuire il reddito verso il basso permette di espandere i consumi. Questa condizione potrebbe essere raggiunta riducendo le ore di lavoro per assorbire la disoccupazione che sarà desinata a crescere a causa del massiccio impiego di strumenti digitali e tecnologici. Se la ricchezza di capitale resta in mano a pochi genera conservatorismo.

Potrebbe darsi il caso che la Politica cinese di fronte all’indebolimento dell’imperialismo americano e dunque del capitale, che si regge su strutture politiche liberali e sulla democrazia borghese, allenti l’assetto autoritario al contrario di quanto sarebbe costretto a fare il capitale occidentale in generale per controllare le disuguaglianze che già oggi si sono imposte attirando l’attenzione di economisti e ideologi (Think Tank). 5

Poiché le differenze di reddito tra classi sociali in Cina in futuro potrebbero essere livellate rispetto a oggi il capitalismo statale (o politico come viene definito da Milanovic) cinese potrebbe diventare un modello da seguire.

D’altronde è in atto a livello internazionale una severa critica al capitalismo neoliberista ormai da diversi anni da parte di ideologi e analisti sostenitori del capitale come unico sistema non solo economico, ma anche sociale ed esistenziale.

Già nel 1998 Edward Luttwak parlava di turbocapitalismo e citare anche una brevissima bibliografia sul tema richiederebbe parecchio spazio. E’ sufficiente dire che un numero enorme di economisti di fama mondiale in seguito alla crisi finanziaria del 2008, che aveva mostrato palesemente al mondo intero la debolezza del modello neoliberista, sembra fare a gare per ricercare le migliori critiche al sistema evidentemente con lo scopo di salvarlo dalla prossima crisi che potrebbe segnarne il tracollo. Ma proprio perché la storia non è deterministica, come Popper6 pensava erroneamente della concezione storica marxiana, occorre una spallata per aiutarne il crollo. E non basta una spallata che lascerebbe un vuoto essa va preparata per sostituire quel vuoto con una forma di vita economica, politica e sociale che deve essere perseguita e costruita giorno per giorno o, citando Marx, tornerebbe la solita merda.

Il problema è: i milioni di digital workers in che modo potrebbero prendere coscienza della propria condizione di servi giuridicamente liberi?



1 Oggi tra le fila di area cattolica del PD.

2 Ed ecco il motivo per cui il sistema popperiano non serve a nulla se non soltanto euristicamente. L’antitesi della democrazia non è soltanto la tirannide e il controllo formale delle regole democratiche (da stabilire quali) non garantisce la libertà da un sistema unico come quello del capitale.

3 Letteralmente lavoro-folla. E’ una sorta di lavoro a chiamata gestito da piattaforme Web e senza obblighi di contribuzione previdenziale

4 Devo soffermarmi su questo punto per chiarire alcuni concetti. Questa nota come anche alcune altre parti dello scritto può essere tralasciata da chi abbia già dimestichezza con alcuni argomenti. La nota serve a chiarire la differenza dell’uso del termine “sfruttamento” in senso generico e comune compresa l’idea di sfruttamento riprovevole da un punto di vista morale, come potrebbe essere il giudizio dal punto di vista della chiesa cristiana. E’ questo che intende per esempio il Papa quando parla di sfruttamento del lavoro: si pensi ai lavoratori anche bambini ridotti in semi schiavitù costretti a lavorare nelle miniere di Coltan. Quel che si intende comunemente e che intende l’ottica della chiesa è una denuncia morale per le misere condizioni di vita e la sofferenza che ne derivano da parte di chi subisce lo sfruttamento personale. Ma al di là del giudizio morale lo “sfruttamento” ha un significato ben diverso. Se si ottenessero condizioni dignitose e il lavoro fosse pagato altrettanto dignitosamente avremmo la risoluzione del problema, come se il concetto di sfruttamento fosse del tutto contingente a quel singolo caso. In realtà le industrie internazionali che si servono delle materie estratte dal Coltan continuerebbero a sfruttare quei lavoratori pur essendo ipoteticamente pagati il giusto secondo il libero mercato. Lo sfruttamento connaturale alla produzione capitalistica risiede non nello sfruttamento (pur in quel caso deprecabile) di ogni individuo per le condizioni economiche e sociali in cui vive, ma per la quota di ricchezza di cui si appropria attraverso il plusvalore. Non sono sufficienti contratti definiti giusti per impedire al capitale di appropriarsi di quella quota di ricchezza. L’idea che siano sufficienti salari equi (in base a cosa?) altera il concetto di sfruttamento della concezione marxiana e lascia il tempo che trova. Da qualunque parte ci si volti torneremmo sempre al famigerato “capitalismo dal volto umano”.

Consiglio la lettura di questo breve intervento che, benché per motivi diversi (in tal caso l’RdB), chiarisce la logica da applicare alla problematica: https://aisberg.unibg.it/retrieve/handle/10446/116222/232913/Etica%20%26%20Politica.pdf

5 Non a caso Il capitale nel XXI secolo di Thomas Picketty è divenuto un bestsellers. Il libro (quasi illeggibile) di Picketty può essere considerato una summa di molti dati, ma l’autore non è certo il primo o l’unico ad aver portato all’attenzione internazionale l’argomento delle disuguaglianze. Il problema è stato affrontato da diversi autori tra i quali anche il citato Branko Milanovic.

6 Tra le tante opere di Karl Popper si veda ad esempio - La società aperta e i suoi nemici.

 


 

 

Alcune riflessioni sulla Storia

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