lunedì 9 luglio 2012

Merci materiali - Merci immateriali


Due brevi interventi tratti dal n. 29 della rivista n+1

Merci materiali

Al marzo 2011 la produzione industriale americana era ancora il 5% al di sotto del picco raggiunto prima della recessione. Gli economisti però sono euforici lo stesso: da molti anni non succedeva che l'andamento dell'industria fosse migliore di quello degli altri settori. Per di più, dopo la sbronza finanziaria, dietro gli istituti di credito che tengono ancora banco, fanno capolino i cosiddetti (parametri) fondamentali. Da tenere anche presente che la ripresa industriale è stata più veloce di quella del numero degli occupati, dato che è aumentata la produttività. Ma che importa, il dato va considerato positivo, i disoccupati pesano sulla società, non sull'azienda. Comunque gli occupati industriali sono cresciuti dell'1,6% mentre in generale la crescita è stata dell'1% (le cifre sulla disoccupazione americana sono sempre aleatorie: prendiamo il massimo di disoccupazione ufficiale registrato al culmine della crisi, 12,5%, quindi vuol dire che, tolto un punto, saremmo all'11,5%, il che è tanto anche per i selvaggi parametri americani).

Facendo un consuntivo, il baratro è stato raggiunto verso la metà del 2009, con un crollo che nella meccanica ha raggiunto il 40%. La risalita sarà ancora lunga, perché per molti settori quella visibile negli ultimi tempi è dovuta non a un netto miglioramento della produzione ma al rinnovamento delle scorte. Anche l'aumento delle vendite di automobili è in gran parte dovuta al logoramento del parco circolante dopo quasi quattro anni di crisi. In totale il settore ha recuperato fino al 20%. Come da manuale marxista, la parte del leone la fanno i mezzi di produzione, e non solo perché l'Oriente ne richiede, il dollaro è basso e il governo offre incentivi: ogni crisi è una occasione per aumentare la produttività e con questo essa non fa che preparare la prossima. Solo che adesso il ciclo si è cronicizzato, e fra una caduta e l'altra l'economia stenta a ritornare ai livelli precedenti.

Ciò è poco visibile perché si muove molto il capitale fittizio, ma non bisogna confondere una ripresa di borsa con una dell'economia. Il mercato è sbilanciato da un pezzo: stagnano le merci di uso comune che costituiscono i grandi numeri, compresi i beni durevoli, automobili, case, arredi, elettronica domestica e sono in ripresa le macchine utensili, i grandi veicoli, il movimento terra, i sistemi computerizzati e tutta la componentistica collegata. Si tratta di capitale costante che dovrà… pagare sé stesso tramite nuova produzione e dovrà farlo in un contesto di consumi decrescenti a causa delle modificate, pesantissime condizioni sia dell'occupazione che del credito alle famiglie. Sulla base dei dati del passato, si è calcolato che ogni aumento di un punto del PIL dei paesi partner commerciali degli USA provoca un aumento delle importazioni dagli USA di tre punti. Se fosse vero non sarebbe spiegabile il declino industriale degli Stati Uniti che, a partire dagli indici massimi di produzione e occupazione raggiunti nel 1979, non si è più arrestato. Tolto il Giappone, i maggiori partner sono cresciuti molto, specie la Cina, la quale non ha affatto aumentato le proprie importazioni dagli Usa in confronto alle esportazioni. Il fatto è che la quota di mercato estera e persino interna degli Stati Uniti si sta restringendo rispetto a quella dei sempre più aggressivi concorrenti.

Merci immateriali

Marx nella prima pagina del Capitale descrive le merci come prodotti vendibili, atti a soddisfare bisogni, non importa se fisici o dovuti alla fantasia. La distinzione fra produzione fisica e servizi era allora abbastanza netta. La quota del valore globale dovuto alla prima era determinante e anzi crescente, e nessun economista si sarebbe preoccupato di "ritornare ai fondamentali", cioè al capitale derivante da produzione e vendita di merci, materiali o immateriali che fossero.

Oggi molti economisti trovano preoccupante la continua diminuzione della produzione industriale su quella totale. Si chiedono quale possa essere il futuro di paesi i cui servizi contano per il 70 o l'80% del PIL, paesi che oltre tutto hanno pletorici servizi "non vendibili" che non producono valore ma ne consumano. Prendiamo gli Stati Uniti: negli ultimi vent'anni la popolazione è cresciuta quasi dell'1% all'anno, il che vuol dire almeno 50 milioni di persone. Nello stesso periodo gli occupati sono aumentati di 27,3 milioni, di cui 26,7 nei servizi non vendibili (istruzione e sanità pubbliche, piccolo commercio, forze armate, polizia, ecc.) e solo 0,6 milioni nell'industria e nei servizi vendibili (come finanza e assicurazioni), con guadagno di questi ultimi e perdita netta del settore manifatturiero. Ma attenzione: al calo dell'occupazione degli addetti industriali corrisponde un aumento vertiginoso del valore prodotto dagli stessi. Ci sono dei paesi come Inghilterra e Olanda che da questo punto di vista stanno anche peggio e siccome l'andamento storico è comune a tutti i paesi, sarà presto raggiunta una soglia invalicabile.

Quando intravedono un limite all'accumulazione gli economisti ne restano sconvolti, come se ciò contraddicesse una legge di natura. Vanno indietro nel tempo e si rasserenano: negli ultimi trent'anni i maggiori paesi hanno visto raddoppiare la produzione industriale, la delocalizzazione delle merci di fascia bassa è fisiologico, quelle di fascia alta continueranno ad essere prodotte qui, non c'è da preoccuparsi. In fondo alla Cina abbiamo venduto solo l'hardware della IBM, la ferramenta, e le facciamo costruire anche quella che è ancora di proprietà americana, europea o giapponese perché qui non conviene più. Qui il business del futuro è nelle merci immateriali, "bisogna finirla con il feticcio della produzione" (Jagdish Bhagwati della Columbia University), ci dobbiamo lanciare nei grandi sistemi logistici, nelle reti fisse e mobili, nella grande distribuzione a livello globale, nei brevetti, nelle biotecnologie. I registratori di cassa elettronici di Walmart sono terminali collegati alle fabbriche sparse nel mondo, ogni minuta vendita va a far parte di un immane centro ordini in tempo reale e altre aziende di logistica si preoccuperanno di collegare la rete di trasporto del materiale ordinato.

D'accordo, per il Capitale merci materiali o merci immateriali fa lo stesso, purché si vendano. Solo che la produzione di merci immateriali non produce a sua volta fabbriche, impianti, mezzi di produzione in quantità conseguente. Questo vuol forse dire che ci sarà una divisione del lavoro a livello planetario e tutto filerà liscio? Un momento: abbiamo visto che il fenomeno coinvolge tutti i paesi, quindi tutti arriveranno a toccare il limite che tanto spaventava gli economisti. E una divisione del lavoro a livello intergalattico non c'è ancora.

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