mercoledì 25 luglio 2012

Quiproquo

Nel sito consigliato a fianco La Contraddizione al link Quiproquo è presente un interessantissimo "libello virtuale" (come viene definito nella stessa presentazione) che ha la veste di una piccola enciclopedia contenente svariate decine di voci (160 con diverse varianti).

Il lemma proposto è una variante della voce Valori.
Tutti i corsivi e i simboli presenti nel testo sono quelli originali. La freccia [<=] indica che nell'enciclopedia è presente quel lemma.
L'autore è Vladimiro Giacché [v.g.].

I valori personali - Magritte (1952)
“Dato che una religione che perdona spietatamente ha dato agli uomini la virtù come punizione per i loro vizi, gli imbecilli che governano il mondo hanno avuto l’idea di consacrare la morale come un bene di diritto. E ora la morale infuria contro l’umanità”: così Kraus. Si tratta di un giudizio che implica “valori”  [# 1, # 2,?] quali umanità, e altri concetti virtuosi quali morale [<=], diritto [<=], religione, virtù, ecc.
In cosa consiste l’inganno? Innanzitutto nel fatto di coprire, dietro il paravento di valori altisonanti ed astratti, prassi concrete mosse da ben altri (e ben più bassi) fini. L’esempio più recente è quello della “guerra umanitaria”. In questo senso i “valo­ri” (a partire dalla famigerata triade “Dio, Patria, Famiglia”) altro non sono che una mistificazione, ossia un mezzo per coprire una prassi reale che non di rado è non solo diversa, ma di segno addirittura opposto a quanto si va predicando. La saggezza popolare ha affidato a proverbi quali “predicare bene e razzolare male” la sanzione di questi comportamenti; ed esiste una folta letteratura, ad esempio, sui vizi dei monaci e dei preti, direttamente proporzionali al loro richiamo ipocrita ai valori ed alle virtù (per La Rochefoucauld “l’ipocrisia” era per l’appunto “il prezzo che il vizio paga alla virtù”: cosicché spesso alla virtù predicata finiscono per corrispondere vizi reali).
Ma l’inganno non consiste solo in questo: se così fosse, infatti, dovrem­mo ammettere che esista (o possa esistere) una prassi realmente ispirata all’“umanità”, alla “bontà”, alla “giu­stizia”, ecc. Il punto, però, è che questo è impossibile. Per il semplice motivo che – e qui sta il secondo inganno – che questi presunti “valori” assoluti (eterni, di significato univoco, validi per tutti i tempi e per tutti i luoghi) non esistono. I valori ai quali gli esseri umani ispirano la loro azione, infatti, nascono dalla concretezza della loro condizione storica, a partire dalle modalità con le quali avviene la loro riproduzione materiale; e andrà semmai ricordato che, sulla concretezza della condizione storica attuale e dei vigenti rapporti sociali, si innesta inoltre la tradizione, che rappresenta per lo più il precipitato di bisogni e relazioni sociali corrispondenti a precedenti epoche della riproduzione materiale.
“Valori” allo stato puro, insomma, non esistono da nessuna parte: i valori sono in perenne mutamento ed evoluzione – oltreché, sempre più spesso, in contraddizione tra loro anche nella stessa persona (così, la stessa persona può essere solidale nei confronti dei parenti più stretti e terribilmente egoista nei rapporti di lavoro: ma anche questo non si deve a un qualche astratto e fatale “politei­smo dei valori”, ma alle concrete condizioni di vita ed alla diversità e contraddittorietà dei ruoli sociali che convivono in una stessa persona).
Il mutamento e l’evoluzione dei va­lori, così come il loro contraddittorio presentarsi, sono funzione della vita materiale degli uomini e degli interessi che in essa si manifestano e si scontrano. Già, perché questi interessi non sono comuni a tutti: l’inte­resse dei lavoratori non coincide – non può coincidere – con l’interesse dei padroni. E quindi i valori degli uni non coincidono – non possono coincidere – con i valori degli altri. Ma, si dirà, e l’interesse alla conservazione della vita della specie e della stessa vita sul pianeta – oggi essi stessi minacciati dal “valore” del capitale [<=] (ossia dall’incoercibile tendenza del capitale a valorizzarsi, ad accrescere la propria massa a scapito di tutto e di tutti)? Non dovrebbero, questi interessi, accomunare tutti? Nei fatti vediamo che così non è: vediamo che la riduzione dei gas inquinanti (provatamente letali per il pianeta) viene impedita; vediamo che l’energia atomica viene riproposta come necessaria, perché “l’economia non può fermarsi” [Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2001]. Questo perché la classe [<=] capitalistica, la classe che incarna la tendenza del capitale ad autovalorizzarsi, concepisce questa tendenza come il “valore” supremo. E oggi riesce addirittura a convincere le classi subalterne che questo “valore” è anche il loro valore, che i suoi interessi di classe sono anche i loro interessi di classe. Ovviamente, questo ragionamento può essere e deve essere rovesciato: sono gli interessi delle classi subalterne ad esprimere gli interessi del­l’umanità, a cominciare dal fatto che solo il perseguimento e la vittoria degli interessi delle classi subalterne appare in grado (oggi più che mai) di impedire “la comune rovina delle classi in lotta”. Non però nel senso – lo ripetiamo – che gli interessi delle diverse classi immediatamente coincidano: semplicemente, l’abolizione dello sfruttamento e della proprietà [<=] privata dei mezzi di produzione è la condizione necessaria per evitare la rovina comune. In tutto questo, i valori dove restano?
I valori restano ... indietro. Nel senso che tengono dietro agli interessi (di classe) e da essi sono plasmati, guidati, utilizzati. Dobbiamo, insomma, operare una sorta di rovesciamento, per rimettere nel giusto ordine le immagini capovolte dalla camera oscura dell’ideologia. I valori (storicamente e socialmente determinati) sono il mezzo, gli interessi (socialmente e storicamente determinati) rappresentano il fine dell’azione sociale. Si noti bene: questa natura di mezzo dei valori riguarda anche quello che probabilmente è l’unico “valore” correttamente attribuibile alle classi subalterne nella loro lotta per l’emancipazione: il valore della “solidarietà”. Che nell’accezione autentica del movimento operaio comunista non ha nulla a che fare con la “solidarietà” di cui parla il cosiddetto pensiero sociale della Chiesa (ossia il solidarismo, la caritatevole mano tesa verso “i deboli”, verso “chi resta indietro” ecc.): la “solidarietà”, dicono le parole di una delle più belle canzoni del movimento comunista [il Canto della solidarietà di Brecht-Eisler], è invece semplicemente ciò “in cui risiede la nostra forza”, ossia l’unione fra eguali per conseguire un obiettivo comune.
Se questo è vero, è chiaro che la fuga nei valori, il riferimento sempre più ossessivo ed inflazionato ai valori, culminato nel nostro Paese nella presentazione alle ultime elezioni addirittura di una lista denominata “l’I­talia dei Valori”, rappresenta un aspetto fortemente regressivo dell’at­tuale situazione sociale e politica. Per diversi motivi.
1) Perché rappresenta un’accetta­zione del rovesciamento della gerarchia reale tra bisogni/interessi e valori: se questi ultimi altro non sono, nella realtà, che modi di concepire e di conseguire quegli interessi, il rovesciamento ideologico li ipostatizza e ne fa degli “apriori” assoluti.
2) Perché rappresenta una fuga nel­l’astrattezza di valori (assoluti, astorici, universali) che hanno perduto (in questa visione mistificata) ogni concreto referente reale, nella prassi delle relazioni e dei conflitti sociali.  
In questa dimensione mistificata – nella migliore delle ipotesi (ossia nel caso che essa non sia frutto di malafede) – ci si muove in tondo: ricevendo conferma della propria bontà (ad esempio nei confronti delle popolazioni del cosiddetto Terzo Mondo, concepite come “gli ultimi”, “i deboli”, “i bisognosi” – e non, come sarebbe giusto, come popoli sfruttati da ben individuabili meccanismi economici, in conformità a ben precisi interessi di classe) proprio dalle proprie sconfitte e dall’inevitabile inanità dei propri sforzi.
3) Perché rappresenta un ulteriore gradino nella scala discendente che dalla coscienza di classe [<=] e dalla solidarietà praticata (sovente in maniera spontanea) tra i lavoratori aveva condotto all’ipostasi della “missione del proletariato”. Ed effettivamente, dal­la missione all’apostolato, e da questo alle opere di carità il passo non è affatto lungo ... Per dirla nei termini del (desolante) dibattito a-sinistra, questo e non altro è il significato del­la transizione dal “militante-missio­nario” al “volontario” (dove il minimo che si possa dire è che il rimedio è assai peggiore del male ...).
Rispetto alle elucubrazioni di questi teologi di ritorno, ben altra lucidità è dato riscontrare, come è ovvio, tra i funzionari del capitale: che sono addirittura in grado di liquidare il tema dei valori in due battute.
Come faceva, in un recente articolo dedicato ai “fondi etici di investimento”, la “responsabile del bilancio socio-ambientale” [sic!] di una delle principali società italiane: ossia dichiarando che “non si può creare va­lore senza valori” [Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2001].
I valori sono indispensabili ... in quanto servono all’autovalorizzazio­ne del capitale. Che, come volevasi dimostrare, è il Valore supremo. E in questo caso – ma solo in questo – la maiuscola ci sta proprio bene. Anche l’analisi del linguaggio [<=] ci permette di ripercorrere nelle parole la direzione del movimento reale. Già Marx ricordava – nelle  sue Glosse a Wagner – che il termine di “valore” (Wert) in origine designava le “cose utili” intese come “valori d’uso”. L’i­deo­logo pragmatista americano William James, un secolo fa, parlava di “valore in contanti” delle idee, oggi possiamo parlarne anche per la Morale e Dio, da cercare sulla pagina delle quotazioni di borsa.
[v.g.]

lunedì 23 luglio 2012

Destra, sinistra. Centro? Boh?


Destra e sinistra, centro, centristi, moderati e meno moderati (come se esistessero reali differenze) si accapigliano, schiere sparpagliate e sbandate di movimentisti grillini o papagallini si azzuffano ostentando e sbandierando soluzioni e medicine per guarire le ferite della belva economica del capitale e politica delle borghesie.

Patetici fantocci mossi dal comando capitalista litigano (o fanno finta?) per decretare elezioni anticipate, che tutti temono. E mica solo in Italia!
La Spagna non ha preferito Rajoy a Zapatero? Contenti di non avere più la tredicesima, sull'orlo del default, come se col "campione" socialista non sarebbe stata la stessa musica, tirano avanti. Non parliamo della Grecia e di tutto il resto.

Appunto! Tutto il resto! Perché è proprio tutto il resto che conta assieme all'una e all'altra cosa. Ma tanto chi dovrebbe capire non capisce. L'illusione è giunta ad agire tanto profondamente da rendere reali differenze che non esistono. E se qualcuno crede a qualcosa, pur se quel qualcosa non esiste, lo rende reale. Forze, invece, "veramente" reali stanno dissipando false credenze e una maggioranza silenziosa comincia a mettere in dubbio la "realtà" dell'illusione. La questione è che la "questione" non è politica, sarebbe assai facile, in effetti. Basterebbe votare un aborto di partito, ma che fosse quello giusto, e tutto andrebbe a posto.

Ovviamente non è così. Nemmeno con quella specie di colpo di stato che ha sostituito ad un satrapo un tecno-dirigente con perversioni finanziarie invece che sessuali si è riusciti a risollevare un sistema statale ed economico ormai frantumato a tal punto che nessuno può e non potrà mai rimettere assieme.
Appunto! Perché la questione non è politica e nemmeno tecnica, se così si può dire. E' l'intero sistema che è franato. Qualcuno pensa che una montagna franata si riuscirebbe a riportare allo stato originario? OK, benissimo. Tutto bene. Andate a votare per il parlamento democratico.

Di seguito un estratto dell'introduzione a Oltre l'austerità scaricabile gratuitamente su MicroMega
Perché proprio questo?
Forse per leggere qualcosa?

Questo volume, generosamente ospitato da MicroMega on line, raccoglie una serie
di contributi sulla crisi economica in Europa. Essi sono, in parte, l’espressione di punti di
vista diversi sia sulle origini e sull’evoluzione della crisi che il nostro continente sta
attraversando, che con riguardo alle implicazioni economiche delle possibili vie d'uscita.
Più che le differenze, è tuttavia importante l’elemento che accomuna gli autori dei
contributi, e cioè l’obiettivo di presentare un’analisi della crisi economica in Europa che sia
libera dagli stereotipi e dai pregiudizi della cultura neo-liberista dominante; quella cultura
che – ispirando le politiche di austerità prescritte dalla Commissione europea, dalla Banca
centrale europea e dal Fondo monetario internazionale – sta precipitando il nostro
continente nella recessione e, di più, sta minando alla base lo stesso « modello sociale
europeo », cioè una delle esperienze più avanzate di convivenza civile che la storia del
mondo ha conosciuto.


I contributi sono stati scritti cercando, per quanto possibile, di mantenere uno stile
accessibile ad un numero ampio di lettori. Naturalmente il volume è rivolto anche ad
associazioni, sindacati e partiti che siano sinceramente disponibili a un ripensamento
critico della deriva liberista della sinistra italiana (ma non solo), a cominciare
dall’identificazione tout court del proprio progetto politico con l’unificazione monetaria
europea. E si rivolge a quella parte della sinistra che, pur essendosi verbalmente opposta a
tale deriva, non si è fatta promotrice, per superficialità o per opportunismo, della
costruzione di un progetto politico-economico seriamente alternativo. La sinistra italiana
ha purtroppo sempre teso a privilegiare il calcolo politico a breve termine all’analisi e alla
proposta economica, finendo sistematicamente preda del pensiero economico dominante,
ai cui cultori ha finito con l’affidarsi. Eroi della sinistra, anche di quella radicale, sono così
di volta in volta diventati i Ciampi, gli Andreatta, i Padoa-Schioppa – figure degnissime,
ma completamente estranee alla tradizione del riformismo socialista.


Nel licenziare questa raccolta di saggi economici, desideriamo dunque indicare
come passaggio necessario per la sinistra quello dell’assunzione, nel suo nucleo costitutivo
e caratterizzante, di un vero pensiero economico critico, premessa indispensabile di una
lettura consapevole dei processi in atto e delle strategie perseguibili.



Indice

Introduzione 6
S. Cesaratto e M. Pivetti

1. Le politiche economiche dell’austerità
L’austerità, gli interessi nazionali e la rimozione dello Stato 11
M. Pivetti
Molto rigore per nulla 19
G. De Vivo

2. La crisi europea come crisi di bilancia dei pagamenti e il ruolo della Germania
Il vecchio e il nuovo della crisi europea 26
S. Cesaratto
Le aporie del più Europa 44
A. Bagnai
Deutschland, Deutschland…Über Alles 55
M. d’Angelillo e L. Paggi

3. Austerità, BCE e il peggioramento dei conti pubblici
Sulla natura e sugli effetti del debito pubblico 71
R. Ciccone
La crisi dell’euro: invertire la rotta o abbandonare la nave? 89
G. Zezza
Oltre l’austerità 4 MicroMega
Le illusioni del Keynesismo antistatalista 104
A. Barba
La crisi economica e il ruolo della BCE 111
V. Maffeo

4. Austerità, salari e stato sociale
Quale spesa pubblica 122
A. Palumbo
Crescita e “riforma” del mercato del lavoro 133
A. Stirati
Politiche recessive e servizi universali: il caso della sanità 145
S. Gabriele
Spread: l’educazione dei greci 160
M. De Leo

5. Oltre l’euro dell’austerità
Un passo indietro? L’euro e la crisi del debito 172
S. Levrero
Una breve nota sul programma di F. Hollande e la sinistra francese 185
M. Lucii e F. Roà


Alcune riflessioni sulla Storia

  Avvertenza. Questo articolo può essere considerato a tutti gli effetti una lunga nota a quello precedente https://umanitapolitica.blogsp...