lunedì 9 luglio 2012

Economie senza mercato: richiamo alla riflessione

Ho preso in considerazione in questo post Mutualismo? Autogestione? alcune questioni inerenti alle cosiddette "economie senza mercato" e più in generale quell'agire alternativo che alcuni movimenti anticapitalisti intenderebbero propugnare. Ho tentato di mostrare l'inconsistenza economica di tali pratiche, ma senza per questo giudicarne il valore sotto il profilo della scelta personale, che eticamente mi sento di rispettare. Questo breve articolo, sempre tratto dalla rivista n+1, mi pare un buon epilogo a quel post e vi invito a leggerlo a mo' di richiamo alla riflessione.



Vivere senza denaro


Di fronte ai sempre più frequenti tentativi di fuga dal capitalismo ci sono reazioni diverse. I giornalisti sono attirati da un atteggiamento che "fa notizia": sembra impensabile eliminare il denaro nella società attuale. I falsi alternativi, tra i quali sono compresi alcuni degli stessi giornalisti, i blogger e gestori di siti internettiani di varia umanità, la mettono sull'etica individuale: com'è coraggiosa la scelta, come dev'essere difficile abbandonare le vecchie abitudini, abbasso il consumismo, ecc. I marxisti (ormai senza virgolette) fingono di essere alternativi autentici e sentenziano: "Attualmente i socialisti non vogliono abolire il denaro. Ciò che vogliono è veder instaurato un sistema sociale dove il denaro sia superfluo, come dev'essere in una società basata sulla proprietà comune e sul controllo democratico dei mezzi di produzione". Citiamo la lezioncina da un sito inglese, ma potrebbe benissimo essere un sinistro nostrano.

La genesi dei gruppi odierni dediti al baratto è incerta. Esistono da molti anni le "banche del tempo", dove però vige il computo del valore in ore di lavoro; sono numerose anche piccole comunità nate per scambiare beni o servizi con il solo criterio del valore d'uso; si diffondono anche gruppi dediti al sottoconsumo volontario. Invece l'esigenza di vivere senza denaro è recente. La ricerca sulle sue origini porta a un solo fatto specifico: la solidarietà fra lavoratori disoccupati rimasti senza salario in seguito alla chiusura di una fabbrica in Canada, solidarietà che ha finito per coinvolgere gli abitanti di un'intera cittadina. All'origine quindi non vi è una pensata utopistica ma un pragmatico bisogno di risolvere problemi concreti. Questo pragmatismo comunitario è abbastanza diffuso in Nordamerica e noi ne seguiamo gli sviluppi come facciamo per altri fenomeni generati dal capitalismo.

Sta di fatto che alcuni gruppi di persone decidono di rinunciare al denaro, anzi, di rifiutarlo in quanto inutile, e di vivere senza lavorare per salario o parcella, in modo da rendere evidente questa non necessità. Insomma, c'è qualcuno al mondo che invece di adorare il dio del capitalismo lo trova repellente e cerca in tutti i modi di schivarlo immaginando un mondo diverso. Facendo tra l'altro una fatica notevole, perché la cosa non è semplice. Ovviamente questi gruppi non riescono né a vivere completamente senza denaro né a dimostrare di conseguenza che il denaro stesso non è necessario. Chi volesse criticare questa "scelta di vita" troverebbe appigli a bizzeffe e curiosamente c'è chi s'incarica di cercarli.

Coloro che si dedicano alla vita senza denaro sanno benissimo che ogni oggetto barattato è stato prodotto e venduto per denaro in quanto merce. Quindi sanno che possono soltanto dar vita a isole entro un mondo che continua a funzionare come al solito. Del resto i rapporti col denaro rimangono strettissimi: se per esempio ci si deve spostare in treno non si può barattare alcunché con le ferrovie, bisogna trovare chi regali il biglietto dopo averlo comperato in cambio di qualcosa. Vivere in un camper e generare elettricità con pannelli solari presuppone una fabbrica di camper e pannelli. L'isola senza denaro non può che essere collegata col mare del denaro. Di questa contraddizione i senza-denaro però se ne fregano. Quel che a loro importa è che individualmente vogliono vivere senza denaro. C'è chi assume psicofarmaci, chi si dà allo yoga e chi adotta uno stile di vita, è un fenomeno da registrare, non da giudicare.

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