lunedì 2 luglio 2012

Una noticina a Il diritto al lavoro non esiste di Massimo Fini


Ho letto (per disgrazia) l’articoletto di Massimo Fini Il diritto al lavoro non esiste avendolo trovato linkato su FB da una persona inserita nella cerchia delle mie amicizie. Inizialmente ho pensato che non valesse la pena fare osservazioni ad una tale asinata, ma riflettendo sulla potenza di propagazione degli attuali mezzi di comunicazione di massa ho cambiato idea. Lo so, non sono né Massimo Fini né il mio profilo FB conta migliaia di amicizie, anzi il contrario, e so che saranno poche decine (spero almeno in quelle) le persone che leggeranno questa nota, ma sento comunque la necessità di manifestare il mio personale disappunto a quelle affermazioni, anche se con un fastidioso senso di impotenza dovuto alle mie scarsissime capacità di marketing virale.

Ho letto, questa mattina stessa, lunedì 2 luglio 2012, la risposta di Pierfranco Pellizzetti Il Lavoro è diritti, non schiavitù all’articolo di Massimo Fini su Il fatto quotidiano e siccome la risposta, pur rispettandola, non mi pare convincente, la cosa ha rafforzato in me la necessità di allontanare quel senso di disagio provocato dalla suddetta asinata.
1866 - Nevrev N.V. Baratto. Episodio di vita quotidiana dei servi della gleba.
Intanto quel che mi ha procurato maggiore malessere è proprio l’esordio dell’articolo di Fini “Elsa Fornero ha perfettamente ragione” questa è la parte peggiore di tutto l’articolo. Avevo già commentato, tra l’altro, l’insulsaggine della ministra Fornero in un mio blog (http://samagamael.tumblr.com/).  Massimo Fini avrebbe potuto sostenere il proprio punto di vista in altro modo. La scelta di argomentare un ragionamento presenta numerosissime alternative. Se uno scrittore come Massimo Fini sceglie esattamente questo esordio è perché gioca abbastanza sporco, e non credo che una scelta di questo tipo sia stata frettolosa e casuale. Ma passiamo oltre.

Tutta la falsità della tesi finiana è contenuta in una “consapevole”, a mio avviso, confusione che ha la caratteristica di una fallacia. Vediamo. Fini non distingue di quali diritti in senso giuridico si stia trattando e pare voler far credere che il diritto al lavoro in questione sia ritenuto da coloro che lo sostengono un diritto naturale. Vorrei ricordare, anche se ciò provocherà antipatia perché sembra peccare di presunzione, che i diritti sanciti dall’ordinamento giuridico sono il risultato di un rapporto di forze e non un fatto naturale come la pioggia o il vento, personalmente ero convinto che il giusnaturalismo fosse oramai tramontato da tempo, ma evidentemente non è così, oppure si mente sapendo di mentire.

Certo nessuno può garantire la felicità o la salute, ma i sistemi sociali, politici ecc. ecc. possono creare le condizioni migliori per la loro realizzazione, per esempio. Sono personalmente convinto, forse ancor più di Massimo Fini, che il lavoro è una pena, anzi addirittura una piaga, e che siamo oramai ad un tale livello tecnico scientifico che potremmo lavorare tutti molto meno anche con livelli retributivi molto più alti. Certissimo! Le macchine potrebbero sollevarci dalla condanna disumana dello stress e dall’affaticamento e potremmo vivere più felici e con maggior benessere sanitario “appunto in tal modo…di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.” [K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1972, pag. 24]

Come vede signor Massimo Fini sono ancor più convinto di lei che mio figlio di 24 anni potrebbe fare a meno di lavorare in un call center per 350€ al mese. Di più!! Potrebbe sentirsi realizzato se potesse cambiare quando gli va e trovare l’attività che, essendo non un lavoro, ma un’occupazione creativa, lo facesse sentire vivo, utile e raggiante! Il ché mi riempirebbe l’animo di gioia. Si figuri: pensa che per me non sarebbe il più bel dono della vita?
Ma c’è un ma. Eh si signor Fini, e tutti coloro che hanno apprezzato l’asinata, il problema è che mio figlio, e pure io, pure la mia collega della scrivania a fianco, e pure la persona che ho visto passare prima per strada, non si sono scelti questo stato di cose. Se potessero scegliere probabilmente non sottoscriverebbero un “contratto sociale” alla Rousseau (una delle grandi idiozie storiche) dove si è costretti ad arricchire pochi sfruttatori che decidono quali sono i diritti degli altri (quando possono farlo, ovviamente, perché non ci si deve dimenticare dei rapporti di forza). Ferma restando l'esistenza dei "servi volontari" di boetiana memoria

E dunque, permettetemi di autoproclamarmi portavoce dei molti altri che la pensano come me, mentre siamo nell’attesa di abbattere il sistema del capitale e permettere alle forze produttive (la scienza, la tecnica e la loro applicazione al processo lavorativo, e quindi all’organizzazione del lavoro) di realizzare quel fantastico mondo, di cui il signor Fini si è fatto portavoce, “da vivere “qui e ora” e non con l’ansia della “partita doppia” del mercante che disegna ipotetiche strategie sul futuro. [dove] Questa disposizione psicologica verso il lavoro era determinata dal fatto che in epoca preindustriale…non esisteva la disoccupazione. Per la semplice ragione che ognuno, artigiano o contadino che fosse, viveva sul suo e del suo. E non doveva andare a pietire un’occupazione qualsiasi da quella bestia moderna chiamata imprenditore.”, mentre viviamo quell’attesa, come dicevo, per non dover andare a pietire il nostro carnefice lasciateci pretendere che quello schifo di “lavoro” sia un diritto perché, purtroppo, “appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere;” [Marx op. cit.].

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