domenica 20 marzo 2022

La Cina è vicina?

 

Passati ormai diversi anni i “quaderni rossi” di Mario Tronti1 (e Panzieri, ma scomparso da un po’) sono sbiaditi dal tempo e dalla luce del neo-liberismo. Oggi il loro colore è arancione (come le rivoluzioni colorate in linea con il cosiddetto post-industrialismo) e a volte talmente stinti che potrebbero prendere il titolo di “quaderni gialli” come la ex democrazia cristiana.

Parlare di post-industrialismo, come se esistesse, associato all’assenza di operai e riempiendo le piazze di moltitudini di persone tutto appare naturale e spontaneo.

Pensare come naturale l’ordine sociale permette al sistema omologante del dominio capitalistico sia sulle menti che sui corpi di creare nel pensare del singolo individuo un agire libero e indipendente.

La mente s’illude che le scelte concrete siano attuazione del proprio pensare libero e soggettivo ipostatizzando la reale dipendenza dal concreto modo di produzione. Solo in questo modo l’individuo si concepisce in quanto soggettività autonoma. E in tal senso il sistema del capitale non ha necessità di attuare in larga parte forme di comando autoritarie2. Il fatto stesso di pensare l’ordine sociale esistente legittimo e connaturato alla struttura del consorzio umano separa l’idea dell’ordine sociale dal modo di produzione rendendo il modo stesso di produzione come accidentale rispetto ai rapporti sociali e alla sovrastruttura del capitale.

In questo senso anche l’operare del lavoro mentale insito nei nuovi processi produttivi che prevedono la realizzazione demandata ai cosiddetti digital workers (si veda ad esempio il crowdwork3) viene percepito e trasferito su un piano astratto mascherando il lavoro concreto nella sfera del general intellect già individuato da Marx.

Posto sul piano sociale il concetto potrebbe essere esteso ed integrato dalle seguenti considerazioni di Milanovic in Capitalismo contro Capitalismo.

Trattando il tema dell’allineamento degli obiettivi dell’individuo con quelli del sistema l’autore sostiene che:


Secondo i più convinti sostenitori del capitalismo, questo risultato scaturisce dalla sua «naturalezza», ossia il fatto che rifletterebbe alla perfezione la nostra natura innata, vale a dire il desiderio di commerciare, di guadagnare, di migliorare la nostra condizione economica e di condurre una vita più comoda. Ma non credo, al di là di alcune funzioni primarie, che sia coretto parlare di desideri innati come se esistessero indipendente dalle società in cui viviamo. Molti di questi desideri sono il prodotto della socializzazione all’interno delle nostre società, e in questo caso all’interno delle società capitaliste, che sono le uniche esistenti.

[Capitalismo contro capitalismo. La sfida che deciderà il nostro futuro. - Di Branko Milanovic · 2020 Editori Laterza]


Facciamo un passo indietro.

Il rapporto servo/padrone dissimulava l’asservimento del lavoratore nella falsa percezione di detenere i mezzi di produzione e di progettualità del proprio lavoro. Lo sfruttamento veniva da questi percepito soltanto attraverso la pretesa del signore-padrone di appropriarsi con le corvèes di una parte del suo lavoro.

Con il sorgere del proletariato come soggetto di trasformazione l’operaio prendeva coscienza della sua alienazione dal lavoro attraverso la sostituzione della forza-lavoro per mezzo delle macchine, tale fenomeno rendeva manifesta l’appropriazione della restante produzione lasciando all’operaio la sola capacità economica di riprodursi.

Molto brevemente si può dire che la condizione di sfruttamento4 a cui è sottoposto il lavoratore divenne chiara nel passaggio da servo a lavoratore giuridicamente libero.

Giuridicamente libero, ma costretto al lavoro per un padrone che realizza capitale pagando soltanto una parte della ricchezza prodotta dalla forza-lavoro.

Ora, il problema attuale è complicato, come ho accennato inizialmente, dal massiccio impiego di lavoratori nella produzione per mezzo di strumenti informatici e digitali.

Cosa potrebbe accadere in futuro?

Quando la Cina avrà raggiunto la capacità di influenzare le dinamiche politiche dell’occidente in particolare quelle europee si sentirà dire dagli ideologi americani, in contraddizione a ciò che stato propagandato sino ad ora, che bisogna fermare la globalizzazione perché è inconciliabile con la libertà. Le reazioni e le resistenze alla “nuova via della seta” sono già dei sintomi.

Per fermare la disfatta del dominio del capitale liberal-democratico l’imperialismo americano sarà costretto a ridistribuire la ricchezza verso il basso per creare quello che Milanovic chiama capitalismo del popolo. Redistribuire il reddito verso il basso permette di espandere i consumi. Questa condizione potrebbe essere raggiunta riducendo le ore di lavoro per assorbire la disoccupazione che sarà desinata a crescere a causa del massiccio impiego di strumenti digitali e tecnologici. Se la ricchezza di capitale resta in mano a pochi genera conservatorismo.

Potrebbe darsi il caso che la Politica cinese di fronte all’indebolimento dell’imperialismo americano e dunque del capitale, che si regge su strutture politiche liberali e sulla democrazia borghese, allenti l’assetto autoritario al contrario di quanto sarebbe costretto a fare il capitale occidentale in generale per controllare le disuguaglianze che già oggi si sono imposte attirando l’attenzione di economisti e ideologi (Think Tank). 5

Poiché le differenze di reddito tra classi sociali in Cina in futuro potrebbero essere livellate rispetto a oggi il capitalismo statale (o politico come viene definito da Milanovic) cinese potrebbe diventare un modello da seguire.

D’altronde è in atto a livello internazionale una severa critica al capitalismo neoliberista ormai da diversi anni da parte di ideologi e analisti sostenitori del capitale come unico sistema non solo economico, ma anche sociale ed esistenziale.

Già nel 1998 Edward Luttwak parlava di turbocapitalismo e citare anche una brevissima bibliografia sul tema richiederebbe parecchio spazio. E’ sufficiente dire che un numero enorme di economisti di fama mondiale in seguito alla crisi finanziaria del 2008, che aveva mostrato palesemente al mondo intero la debolezza del modello neoliberista, sembra fare a gare per ricercare le migliori critiche al sistema evidentemente con lo scopo di salvarlo dalla prossima crisi che potrebbe segnarne il tracollo. Ma proprio perché la storia non è deterministica, come Popper6 pensava erroneamente della concezione storica marxiana, occorre una spallata per aiutarne il crollo. E non basta una spallata che lascerebbe un vuoto essa va preparata per sostituire quel vuoto con una forma di vita economica, politica e sociale che deve essere perseguita e costruita giorno per giorno o, citando Marx, tornerebbe la solita merda.

Il problema è: i milioni di digital workers in che modo potrebbero prendere coscienza della propria condizione di servi giuridicamente liberi?



1 Oggi tra le fila di area cattolica del PD.

2 Ed ecco il motivo per cui il sistema popperiano non serve a nulla se non soltanto euristicamente. L’antitesi della democrazia non è soltanto la tirannide e il controllo formale delle regole democratiche (da stabilire quali) non garantisce la libertà da un sistema unico come quello del capitale.

3 Letteralmente lavoro-folla. E’ una sorta di lavoro a chiamata gestito da piattaforme Web e senza obblighi di contribuzione previdenziale

4 Devo soffermarmi su questo punto per chiarire alcuni concetti. Questa nota come anche alcune altre parti dello scritto può essere tralasciata da chi abbia già dimestichezza con alcuni argomenti. La nota serve a chiarire la differenza dell’uso del termine “sfruttamento” in senso generico e comune compresa l’idea di sfruttamento riprovevole da un punto di vista morale, come potrebbe essere il giudizio dal punto di vista della chiesa cristiana. E’ questo che intende per esempio il Papa quando parla di sfruttamento del lavoro: si pensi ai lavoratori anche bambini ridotti in semi schiavitù costretti a lavorare nelle miniere di Coltan. Quel che si intende comunemente e che intende l’ottica della chiesa è una denuncia morale per le misere condizioni di vita e la sofferenza che ne derivano da parte di chi subisce lo sfruttamento personale. Ma al di là del giudizio morale lo “sfruttamento” ha un significato ben diverso. Se si ottenessero condizioni dignitose e il lavoro fosse pagato altrettanto dignitosamente avremmo la risoluzione del problema, come se il concetto di sfruttamento fosse del tutto contingente a quel singolo caso. In realtà le industrie internazionali che si servono delle materie estratte dal Coltan continuerebbero a sfruttare quei lavoratori pur essendo ipoteticamente pagati il giusto secondo il libero mercato. Lo sfruttamento connaturale alla produzione capitalistica risiede non nello sfruttamento (pur in quel caso deprecabile) di ogni individuo per le condizioni economiche e sociali in cui vive, ma per la quota di ricchezza di cui si appropria attraverso il plusvalore. Non sono sufficienti contratti definiti giusti per impedire al capitale di appropriarsi di quella quota di ricchezza. L’idea che siano sufficienti salari equi (in base a cosa?) altera il concetto di sfruttamento della concezione marxiana e lascia il tempo che trova. Da qualunque parte ci si volti torneremmo sempre al famigerato “capitalismo dal volto umano”.

Consiglio la lettura di questo breve intervento che, benché per motivi diversi (in tal caso l’RdB), chiarisce la logica da applicare alla problematica: https://aisberg.unibg.it/retrieve/handle/10446/116222/232913/Etica%20%26%20Politica.pdf

5 Non a caso Il capitale nel XXI secolo di Thomas Picketty è divenuto un bestsellers. Il libro (quasi illeggibile) di Picketty può essere considerato una summa di molti dati, ma l’autore non è certo il primo o l’unico ad aver portato all’attenzione internazionale l’argomento delle disuguaglianze. Il problema è stato affrontato da diversi autori tra i quali anche il citato Branko Milanovic.

6 Tra le tante opere di Karl Popper si veda ad esempio - La società aperta e i suoi nemici.

 


 

 

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