giovedì 28 giugno 2012

Ipotesi sul comunismo. Ecco un effetto positivo della crisi!


A parte la stampa borghese per la quale, dal momento che tutti i mass media la rappresentano, non sono necessarie citazioni pullulano un po' ovunque considerazioni ed analisi intorno ad una prospettiva futura possibile, praticabile, sperabile o auspicabile di passaggio ad un nuovo sistema di cose. Ecco un effetto positivo, tra tutti i disastri e gli sconquassi prodotti, che l'attuale crisi acuta del capitale è riuscita ad ottenere.
La ripresa del dibattito sulla necessità di una svolta storica verso il socialismo, a parte considerazioni dotte e dialettiche utili a dargli forza, eccita in me un profondo godimento nel confutare gli idioti che lo davano ormai per morto.

http://www.laclasseoperaia.blogspot.it/
Non so se per altri sia accaduta nel quotidiano la medesima cosa, ma ho dovuto sopportare ancora in questi recentissimi anni teste vuote che attribuivano lo sfascio sociale e culturale, oltre che la colpa di aver prodotto un sistema malato in cui i giovani non hanno futuro, alle lotte e alle aspirazioni di chi negli anni '70 sognava “l'immaginazione al potere”. Ora è vero che di stronzate se ne sono dette e fatte in buona quantità, ma chi giudica le lotte socialiste appunto degli anni '60 e '70 non le vuol giudicare dall'interno, ma più banalmente e stupidamente si erge ad arbitro ed esperto senza saper esattamente ciò che è accaduto e quel che si è vissuto. Questo m'infastidisce, non il dialogo e il reciproco riconoscimento delle stupidaggini commesse.

Ora, i caratteri economici, culturali e sociali affermatisi in ogni angolo del pianeta hanno diffuso non solo un modo di produzione, ma schemi mentali e stili di vita che potranno estinguersi solo attraverso un mutamento di cui non ci è, probabilmente, nemmeno possibile intravedere i tratti distintivi così come i nostri antenati non avrebbero mai potuto concepire la nostra condizione attuale.
Credo che, in ultima analisi, uno degli errori che commettiamo frequentemente sia lo stesso di chi in passato vagheggiava la “Città terrena” senza considerare che per quanto possiamo sforzarci di immaginare soluzioni attendibili “volenti o nolenti possiamo pensare solo col pensiero che ci è contemporaneo” 1, andare oltre è una deviazione idealistica, un’illusione nella quale non ci si dovrebbe cullare, il che non significa che non si debbano costruire progetti.

Questa “chiacchierata” vuol essere di stimolo e semplicissima introduzione all'articolo Ipotesi sul comunismo. Note per una discussione /1 di Fabio Raimondi apparso in Scienza & Politica. Per una storia delle dottrine e ripreso su http://www.sinistrainrete.info/
Cito il cappello introduttivo, che offre già il senso di continuità con gli articoli già proposti su questo blog sia per quanto riguarda i miei più modestissimi post sia per i più importanti interventi sempre di Sinistrainrete.

Parlare di comunismo oggi potrebbe sembrare un gesto desueto, per non dire nostalgico, una postura estetizzante e provocatoria o, peggio, la progettazione astratta di un’utopia. Non è così. Nonostante il tema sia del tutto escluso dal dibattito pubblico, esso è presente in alcune delle riflessioni politiche più interessanti del nostro tempo e si presenta come un modo per provare a capire le trasformazioni che stanno segnando il periodo di crisi in cui viviamo. La decisione di proporre una serie di affondi sul comunismo risponde al bisogno di confrontarsi con un discorso esigente e strutturato, anche se rimosso dalla fine del socialismo reale, per capire se può darci strumenti utili a entrare nel futuro comprendendo il passato e aggredendo il presente della crisi della globalizzazione capitalistica, ma anche quello della falsa alternativa dei «beni comuni» e del «soggetto mite».

Quali risposte dare per trasformare l'attuale stato di cose (discorso che si lega alla potenzialità di cambiamento) credo sia possibile solo considerando una visione d'insieme della condizione economica e politica mondiale. Pensare che a priori questo o quell'intervento “intranazionale” siano essenziali o meno mi pare fuorviante.
Certo esiste la necessità di azioni circoscritte e dipendenti dalla realtà locale e dalla comprensione della dimensione sociale ed economica regionale, ma il credere che esistano soluzioni buone su scala nazionale senza tenere conto di ciò che accade nelle politiche internazionali sarebbe insensato.
Se esista una via d’uscita nel futuro prossimo venturo dunque non saprei, d’altronde sarebbe pura presunzione affermare di conoscerla, indicarne una, inoltre, significherebbe sapere quale sarà il “soggetto della trasformazione” e ancor più difficile la risposta se, come sono convinto, il problema non può essere solamente politico ed economico, ma, anche umano, e tale presupposto costringe la risposta fuori della portata del singolo.

Credo non serva un’ipotesi politica, scaturita magari da qualche “governo” di destra o di sinistra, che derivi dalle logiche antagoniste abbondanza/scarsità o ricchezza/povertà soluzioni economiche, ma una progettualità collettiva in grado di connettere le diverse istanze sociali partendo dal basso, e che sappia anche andare oltre l’illusione della redenzione. Ma il credere che non serva un'ipotesi di tal fatta non significa credere che la risposta non debba essere principalmente politica e che se ne possa fornire una di tipo olistico (si veda Carlo Donolo: L’olismo politico è sempre reazionario). Il senso è semmai: la risposta non può provenire dalla politica legata alle logiche di potere.

Per concludere vorrei riflettere su un’affermazione di Braudel. 2
Braudel afferma che “se per Marx sono gli uomini a fare la storia” per lui “è la storia a fare gli uomini.”
Personalmente credo siano corrette ambedue le affermazioni non solo per il motivo che gli uomini costruiscono il proprio futuro attraverso ciò che “trovano immediatamente davanti a sé”, e non potrebbe essere altrimenti, ma in ogni caso relativamente a ciò che trovano è loro dato scegliere. E, ancora, non solo perché ciò che gli uomini trovano sono circostanze che essi non hanno scelto e solo in base a quelle possono agire e quell’agire è determinato da modelli economici e culturali, ma per lo strano motivo che l’uomo fa anche la Storia, scrivendola, analizzandola, interpretandola e criticandola con l’effetto che pur non essendo vero ciò che crede (potenzialmente a volte può essere vero e a volte falso) la modifica determinandola e può agire successivamente a “condizione” di ciò che è il risultato di quelle attività, oggi come ieri.

Da parte mia credo sia falsa l’idea che esista una tendenza innata a soddisfare in modo del tutto egoistico le proprie passioni ché implicherebbe una natura umana  orientata al particolarismo e all’individualismo, e in questo modo le possibilità di cambiamento sarebbero assai scarse. Ma anche in tal caso le risposte sono molto più articolate di una elementare separazione tra individualismo e socialità del 'essere' dell'umanità.
Credo, inoltre, che il mutamento dovrebbe passare attraverso il problema del come risolvere la complessità senza degenerare nella barbarie.

Per concludere, davvero: la Storia, ma ripeto quasi pedissequamente cose già dette – quella vissuta dal proletariato, dagli oppressi e dagli sfruttati in generale - è una truffa e una frode costruita da chi in maniera predatoria ha espropriato ciò che era di tutti, dell’umanità e di ogni singolo per conquistare e mantenere un potere, che al contrario di quello che per mezzo della cultura ha fatto credere immanente alla realtà ed ineluttabile, è stato invece soltanto inesorabile. Ecco, la differenza rispetto al passato. E' forse giunto il momento in cui si apre questa possibilità di comprensione alla maggior parte delle persone che vivono sulla faccia della terra tale tragico “destino”?

1 Parafrasando Foucault. Il passaggio è tratto da “Le parole e le cose” il quale dice esattamente – (…) il pensiero che ci è contemporaneo e con il quale, volenti o nolenti, pensiamo, è ancora ampiamente dominato (…) dall’impossibilità (…) di schiudere il campo trascendentale della soggettività (…)” pag. 271

2 La citazione esatta è: “Marx sbaglia quando dice che gli uomini fanno la storia. E’ più sicuro che sia la storia a fare gli uomini. E che questi la subiscano.” - Fernand Braudel - I tempi della storia : economie, società, civiltà - Dedalo 1986 - pag. 116. Non intendo soffermarmi sul fatto che la concezione di Marx, secondo me, andrebbe letta diversamente anche se l’autorità intellettuale di Braudel potrebbe far ritenere che tale fosse l’idea di Marx. D'altronde Marx afferma per esempio in “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte” - Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione. - In tal modo il senso dell’affermazione “Gli uomini fanno la propria storia” ha un carattere meno perentorio. Comunque stiano le cose mi servo dell’esempio unicamente per considerare due posizioni diametralmente opposte.

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