sabato 23 giugno 2012

Capitalismo in decomposizione



Tutto crolla, il centro non regge più;
Si scatena nel mondo l’anarchia,
Dilaga la marea del sangue e ovunque
Il rito dell’innocenza annega…
                          Yeats


E’ evidente che la riorganizzazione del capitale sul piano dell’accumulazione richiede una diversa dislocazione geografica sotto tutti gli aspetti: produttivi, finanziari, strategici. Potremmo dire che la cosiddetta accumulazione flessibile richiede, per contro, una flessibilità geografica e in maggiore rilevanza per il potere finanziario. La conseguenza di questa trasformazione può essere definita in diversi modi, possiamo, se vogliamo, chiamarla anche globalizzazione, ma in altri termini sono tentativi di trovare nuovi equilibri, in senso lato, per rendere stabile il capitale. Molti degli effetti a livello mondiale sono palesemente visibili.
Accenniamo, non seguendo un ordine di importanza, ad alcuni di questi effetti.

  • L’estrema mobilità geografica del capitale richiede flessibilità nella produzione e in conseguenza ristrutturazione del mercato del lavoro.
  • La deregolamentazione finanziaria, per far fronte alla crisi, conduce a una straordinaria instabilità dei mercati in primo luogo azionari.
  • La crisi del capitale monopolistico porta a una nuova offensiva verso i lavoratori dunque a forme più repressive di organizzazione del lavoro, accrescendo lo sfruttamento selvaggio e, non da ultimo, a un maggior ricorso alla manodopera femminile, storicamente meno sindacalizzata.

Certo, lo scenario è complesso: alla proletarizzazione e/o sottoproletarizzazione in alcune regioni del pianeta possono corrispondere privilegi, maggiore remunerazione e nuove forme di aristocrazia del lavoro in altre regioni e nel contesto delle stesse profonde divaricazioni tra povertà e ricchezza. I tentativi di soluzione della crisi comportano a loro volta danni per lo stesso capitale. Per citare un esempio è sufficiente osservare come la diversificazione dei mercati e la proliferazione di nuovi strumenti finanziari 1 (swap, option e ogni tipo di derivati con funzioni speculative) e la conseguente necessità di controllo sui flussi internazionali, uniti all’incalzante informatizzazione e lo sfrenato utilizzo dell’alta tecnologia, finisce per aumentare i crimini finanziari. Aumento incontrollato della velocità di comunicazione e di informazione ed euforia degli iperprofitti della finanza virtuale hanno prodotto effetti devastanti. Effetti non voluti sul piano valutario, servisse un ulteriore esempio, innescano crisi che impediscono all’alta finanza di esercitare il dovuto controllo della ridistribuzione dei rischi che facendo saltare misure di coordinamento dei mercati provocano nuovi conflitti e nuove crisi.
Tutto ciò non è, però, strettamente deterministico né è inevitabile la flessibilità del lavoro imposta dal capitale: i lavoratori possono opporsi alla loro precarizzazione e al depuperamento e non subirlo passivamente.

Parlare di riorganizzazione del capitale e di accumulazione flessibile, inoltre, non significa andare dietro alla moda delle teorie post-fordiste. Riduzione della produzione manifatturiera e trasformazione del paradigma organizzativo convivono in zone geopolitiche diverse del mondo con i loro contrari, i sistemi produttivi tradizionali (tayloristi), dei paesi più poveri. Se prendiamo in considerazione che il totale delle merci prodotte in generale è superiore al passato, che l'insieme della materie prime utilizzate nel ciclo produttivo sono maggiori, che il prodotto lordo (escluse le congiunture, considerando piuttosto la lunga durata) è in aumento ovunque, non sembra che il mondo sia in una fase di deindustrializzazione, ma questo non significa misconoscere la realtà della ristrutturazione del capitale e la tendenza al controllo dei servizi sociali.

Apparentemente riforme sul piano istituzionale nazionale e conflitti militari 2 non hanno legami. Ma se guardiamo bene “aggressione” ai servizi pubblici (scuola, sanità, previdenza) e aggressione militare nelle zone geostrategiche sono soltanto aspetti diversi della stessa "dottrina". La pressione del WTO sugli stati nazionali e la progressiva privatizzazione e liberalizzazione sostenuta ed esercitata dalle compagnie multinazionali costituisce un ulteriore attacco al controllo pubblico delle risorse, prime tra tutte le risorse idriche che giocheranno, al pari delle risorse energetiche, un ruolo essenziale nel futuro fosco del nostro pianeta. E tutto ciò sta trasformando radicalmente anche il senso della nostra vita. Non è catastrofismo: chi lo pensa dovrà subirne comunque le conseguenze!

Nel lungo articolo Capitalismo in decomposizione? Marco Sacchi risale la Storia in un percorso sintetico che descrive l’alternanza dell’affermazione, consolidamento e decadenza dei vari sistemi di dominio per giungere ad esporre la logica intrinseca della fase di decomposizione del sistema borghese capitalistico distinguendola dalla semplice fase di decadenza.
Tra le tendenze che caratterizzano il “sostegno” da parte del proletariato al sistema attuale nella sua fase di crollo Marco Sacchi  riporta alcuni punti. Cito testualmente

Non bisogna trascurare l’influenza delle illusioni democratiche nella classe operaia. Ci sono diversi motivi del preservarsi di queste illusioni: 

1) Il peso all’interno di questi movimenti di strati sociali non proletari molto recettivi alle mistificazioni democratiche e all’interclassismo.
2) La potenza delle illusioni democratiche ancora presenti nella classe operaia.
3) La pressione della decomposizione sociale e ideologica sociale del capitalismo che favorisce la tendenza a cercare rifugio in un’entità “al di là delle classi e dei conflitti”, cioè lo Stato, che si presume potrebbe apportare un certo ordine.

Ciò che pare decisamente interessante ed essenziale, in effetti, è capire il motivo del consenso politico e sociale al sistema esistente di quelle categorie che più hanno da perdere dalla crescente affermazione della società tecnologica imposta dal Capitale attraverso ideologie neoliberiste che hanno fato scivolare in quest’ultimo ventennio le classi lavoratrici in un vortice che trascina sempre più in basso, perché è grazie a questo consenso diffuso che è possibile il perpetuarsi dei rapporti di dominio. In un saggio poco conosciuto Zigmunt Bauman indica in modo chiaro quale logica conduce all’effetto perverso che trasforma le vittime in carnefici di se stessi

I più numerosi tra i movimenti di protesta sociale cui la modernità da vita sono di gran lunga quelli che chiedono la ridistribuzione dei profitti, non la revisione della definizione di profitto o la distruzione del meccanismo di realizzazione del profitto. L’autorità della modernità e tutti i suoi articoli di fede escono rafforzati da questo genere di competizione. Pochi sono così entusiasti delle sue virtù come le sue vittime, e pochi (forse nessuno) sono così condiscendenti verso le sue pretese come coloro che sperano sia il loro turno nella rotazione del privilegio.” 3 

Ritengo, anche se andrebbe approfondita, che questa spiegazione riesca a scavalcare il funzionalismo ingenuo di alcuni marxismi che avrebbero la pretesa di spiegare tutti i comportamenti unicamente attraverso una logica lineare insita nei rapporti di produzione senza fare i conti con fattori complessi che non escludono anche effetti psicologici da cui a volte non è possibile fare astrazione.4  Finché esisterà un qualche consenso, quindi, al sistema sociale ed economico attuale non pare possibile eliminare ingiustizie, privilegi e dominio e si va alla ricerca di una soluzione che modifichi i rapporti dominanti/dominati quando in realtà lo scopo dovrebbe esser quello di eliminare questo ordine.


 1 In Italia, ad esempio, a partire dal 2002, dopo la grave crisi della “bolla speculativa” è possibile acquistare e vendere anche una sola azione sul listino principale di Piazza Affari. Inoltre, dal dicembre dello stesso anno, sono cambiate le modalità di negoziazione: è stata introdotta un'asta di chiusura delle proposte di negoziazione con modalità di esecuzione, le cosiddette Vac (valide solo in asta di chiusura). Il Mib storico nel dicembre 1999 era di oltre 28.000 punti nel febbraio del  2004 andò sotto i 20.000 mentre nel marzo 2009 scese addirittura sotto i 13.000.
  2 Si pensi ad esempio alle varie riforme nel campo dell’istruzione (scuola e università) portate avanti in questi anni e ai conflitti geopolitici ed economici come la guerra in Iraq, Afghanistan, ecc..
  3 Z. Bauman - Le sfide dell'etica - Feltrinelli 1996 - pag.220
  4 E questo non significa negare che la “vita sociale” nella sua più ampia accezione sia determinata dai rapporti sociali di produzione.


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