mercoledì 23 maggio 2012

Ragionando sulla scienza politica


Chiarisco. Il titolo "Ragionando sulla scienza politica" non deve fra pensare che vi sia da parte mia la pretesa di approfondire un tema tanto complesso. Saranno semplicemente note sulle quali riflettere.

Il proposito, d'altronde, di questo blog non è, ovviamente, dare risposte, intanto perché andrebbe oltre le possibilità del sottoscritto e in secondo luogo perché le risposte, il più delle volte, si possono comporre solo in un lasso di tempo relativamente lungo osservando il modificarsi degli avvenimenti. Molto più modestamente spero di stimolare, attraverso un flusso un po’ appassionato, una riflessione su alcuni argomenti che tanto più in questo momento mi sembrano stringenti.

Si sente sempre più spesso parlare di democrazia, anche se sarebbe più corretto parlare di democrazie, ma affrontare tale argomento impone di considerare la possibilità di un agire politico concreto e nello stesso tempo non esclusivamente confinato alla mera prospettiva di una scienza della politica, se questa esiste ed è possibile, questione che potrebbe rilanciare il dibattito sulla funzione ideologica della scienza. Mi soffermerò, dunque, alcune righe a esaminare la questione della “scienza politica”, dispensandoci in questa sede dell’interrogarci su questioni metodologiche che possono essere solo oggetto di disputa specialistica. Concedetemi una metafora per semplificare questioni che altrimenti esigerebbero troppo spazio. Allora, direi che - la scienza politica può essere considerata una chiave -.

Una chiave sicuramente utile se intendiamo aprire la porta che ci permette di entrare in una certa stanza, ma quella porta particolare e non un’altra. Se la stanza in cui vogliamo entrare è tutt’altra quella chiave risulterà inservibile al nostro scopo. Se le stanze rappresentano la concezione che abbiamo del mondo in cui aspiriamo vivere la scelta della porta non dipende dalla chiave, bensì dal nostro proposito (o se si preferisce desiderio). Questo ragionamento sottintende, ovviamente, alcuni giudizi di valore e mi si dirà che la scienza politica è stata edificata opportunamente per evitare tale dato irrazionalistico.

La scienza della politica, infatti, non si occupa del “mondo” in cui aspiriamo a vivere, ma più correttamente e concretamente di quello esistente. La questione, però, è che il “mondo”, quel mondo che la scienza politica si studia di capire e analizzare si trasforma dinamicamente in base al perseguimento di progetti e modelli esistenti nelle intenzioni di qualcuno, che questi sia una classe, per esempio la borghesia, oppure un monarca assoluto. Intanto è evidente, per restare nella metafora, che debba essere plausibile l’esistenza di una porta diversa, ma ciò che può apparire inopinabile oggi può essere concepibile domani.
Cento anni fa poteva non apparire plausibile nella nostra società occidentale il matrimonio tra omosessuali: oggi lo è! E per quanto personalmente possa sforzarmi di capire non riesco a immaginare come le “categorie interpretative” della scienza politica avrebbero potuto non solo individuare una cosa inesistente (la volontà di istituzionalizzare il matrimonio omosessuale), ma renderlo almeno plausibile alla maggioranza.

Karl Mannheim in Ideologia e Utopia fa riferimento alla possibilità di fondare una scienza capace di dare risposte alle situazioni concrete definendo, in un certo senso, la base di questa scienza “Il tentativo di eludere le deformazioni ideologiche e utopiche è, in ultima analisi, un’indagine della realtà. Queste due concezioni ci forniscono la base di un sano scetticismo e sono in grado di essere positivamente utilizzate per evitare quegli errori cui il nostro pensiero potrebbe indurci.” 1
Se osserviamo da vicino il contesto storico in cui Mannheim scrive, il finire degli anni ’20, sono gli anni in cui Stalin è già salito al potere, il fascismo si è orami affermato in tutti i suoi aspetti e la crisi economica comincia a dilagare. Un periodo contrassegnato da una sorta di irrazionalismo economico, politico e, non da ultimo, filosofico. Sono venuti meno i riferimenti stabili della democrazie liberali ottocentesche. Non c’è dubbio che un sano scetticismo verso due estremi opposti poteva apparire sensato. Egli stesso, peraltro, più avanti scrive: “Un’incerta e timorosa dissimulazione delle contraddizioni non ci condurrà fuori dalla crisi dell’estrema destra e sinistra politica, le quali, esaltando ai fini della propaganda il passato o il futuro, dimenticano che la loro posizione attuale non è immune dalla stessa critica.” 2

Con un certo margine di approssimazione questa rappresenta la posizione dell’attuale scienza della politica, e interpretando lo stesso Mannheim possiamo obiettare che è pur vero che la scienza si basa su dei fatti, ma i “fatti” umani (sociali, politici, economici) non si verificano in modo naturale come la pioggia, essi sono il prodotto di aspirazioni, valori, ideologie. Non s’intende affermare una tendenza idealistica, i valori le aspirazioni ecc. sono essi stessi il prodotto di un dato sistema storico. Agire sui fatti significa anche condizionare i successivi valori, per esempio. Sicché sarà possibile fare della scienza politica ma è sempre possibile anche fare della “politica della scienza”, e questa politica come si trasforma in scienza? Vi è sempre un momento, in sostanza, in cui il giudizio è un giudizio di valore: l’esempio del “progetto genoma” dovrebbe essere più che sufficiente per capire ciò che intendo.

Pierre Bourdieu sostiene per esempio che la sociologia non può rinunciare a operare all’interno stesso del sistema sociale, la necessità dunque per l’intellettuale di fare “critica sociale” (e credo che egli stesso ne fosse un esempio). Zigmunt Bauman afferma l’impossibilità della neutralità morale del sociologo riconoscendo un ruolo di interprete e non di guida, e di faro come vorrebbero alcuni, nelle scelte reali. Raymond Boudon, anche se su prospettive molto distanti dalle precedenti, ha dimostrato diversamente dalle convinzioni di Mannheim che l’intelligentsia non è “immune” da condizionamenti derivati dalla posizione ricoperta e che queste operano al di là della loro consapevolezza.
Credo che la fondazione di una scienza della politica sia divenuta, per le classi dominanti, particolarmente necessaria con l’emergenza della borghesia, ma in particolar modo con l’evolversi delle utopie ottocentesche 3. Era necessario, in altri termini, da parte delle classi dominanti reagire all’elaborazione di pratiche e teorie politiche che permettessero e legittimassero una presa del potere (o paventassero il pericolo di rovesciarlo) di forze storiche emergenti in grado di cambiare la configurazione del sistema, mostrando che sarebbe stato possibile risolvere i conflitti razionalmente, riassorbendone le pressioni devastatrici.

In sostanza per la scienza politica oggi un certo modello di società può essere utopistico tra un secolo potrebbe essersi imposto senza che la scienza politica cessi di svolgere la propria funzione di scienza e questo può far nascere qualche dubbio sulla sua imparzialità. “Altri hanno contribuito a diffondere un pensiero “debole”, contrario ad ogni scelta tra significati e segni (…) pensiero tanto più seducente in quanto favorisce, con il pretesto di rispettare la varietà delle soggettività (…) un relativismo di bassa lega.” 4.
Se il mio è scetticismo mi piacerebbe sapere se è contemplato tra i casi di “scetticismo sano ” o di “scetticismo non-sano”.

Note
1 Karl Mannheim - Ideologia e Utopia Il Mulino 1957 - pag. 104
2  Ibid  pag.110
3  La scienza della politica potrebbe essere fatta risalire a Hobbes che ha affrontato in modo sistematico la questione della <> come possibile oggetto della conoscenza <>. Potremmo risalire ancora più indietro nel tempo da Machiavelli fino a Platone. In tutti i casi, compreso Hobbes, è comunque lecito definire le loro teorie <> in modo alquanto relativo. In realtà è solo nell’ottocento con la divisione soprattutto accademica delle varie discipline e con lo sviluppo dei metodi di ricerca che possiamo parlare di <> come l’intendiamo oggi anche se da ritenersi soltanto agli albori.
Per quanto riguarda la formazione e la divisione delle discipline scientifiche nell’ottocento cfr. Immanuel Wallerstein - La scienza sociale: come sbarazzarsene. I limiti dei paradigmi ottocenteschi - Il saggiatore – 1995
4  Eugene Enriquez – Dall’orda allo stato. All’origine dei legami sociali - Il Mulino – 1986 - Pag. 28
 
 
Foto di Elena Paquola
 

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