domenica 19 agosto 2012

Sempre a proposito di Economie senza mercato

 Sempre a proposito della questione relativa all'argomento Economie senza mercato vi possono essere aspetti correlati che presentano approcci interessanti da prendere in considerazione e che andrebbero ampiamente dibattuti. L'articolo che segue, tratto da Sotto le bandiere del marxismo può essere spunto di riflessione. 


Una Disneyland sociale nell’oceano capitalista


I comunisti usano eccessivamente l’espressione “piccolo borghese”, è vero,  ma, nel caso dell’articolo di Pallante e Bertaglio,(1) non si possono adoperare altri termini: “La saldatura tra i piccoli contadini, i commercianti al minuto, le piccole e medie aziende, gli artigiani e i professionisti radicati nel territorio in cui vivono, con i movimenti che si oppongono alla realizzazione delle grandi opere e alla privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, può avvenire emarginandosi dalla globalizzazione e rivalutando le economie locali…”

Questa autoemarginazione dovrebbe rendere possibile l’abbandono dell’agricoltura chimica, l’accorciamento delle filiere “la massima autonomia nella produzione alimentare, in quella energetica e nelle produzioni necessarie a soddisfare i bisogni fondamentali: edilizia, abbigliamento, arredamento, utensileria, attività artigianali, riparazioni e manutenzioni.”

“In un’economia globalizzata le piccole e medie aziende possono trovare spazio solo nella produzione di semilavorati e componenti per le aziende che operano sul mercato mondiale (l’indotto) o nella produzione di prodotti finiti per conto di grandi marchi che operano sul mercato mondiale (contoterziste). Solo liberandosi dai vincoli della globalizzazione e producendo per il mercato locale in cui sono inserite, solo offrendo prodotti finali ad acquirenti del territorio in cui operano, queste aziende possono valorizzare la ricchezza della loro professionalità, della loro creatività e della loro esperienza.”

Si tratterebbe, dunque, di isolarsi dal contesto capitalistico, formando piccole comunità di produttori e professionisti autosufficienti. In altre parole, una sorta di comune dotato delle tecniche più moderne. Ma i comuni medievali dovevano difendere con una selva di norme corporative e con le armi il loro mercato locale, e l’isolamento venne  intaccato  dalle monarchie e spazzato via definitivamente dalle rivoluzioni borghesi. Come potrebbero queste comunità, salvarsi dalla concorrenza internazionale ?

L’articolo si fonda sul presupposto infondato che le comunità locali possano decidere per conto proprio, come se non ci fosse uno stato iperburocratizzato che s’impadronisce di più del 50% dei proventi dell’economia legale, che tollera l’espansione del lavoro nero e tratta con la malavita organizzata, partecipa con la Nato, un’alleanza di briganti imperialisti,  al bombardamento di altri paesi, dalla Jugoslavia all’Afganistan alla Libia. Come può convivere una piccola comunità autonoma con un tale predone ?

Il capitalismo occidentale mobilita mercenari, tagliagole e fanatici per conquistare nuovi mercati, e per sottrarre agli avversari il controllo delle vie del petrolio e del gas, impiegando droni, bombardieri, missili  all’uranio impoverito, le forme più evolute di monitoraggio satellitare, mobilitando le sue centrali spionistiche e i media. Per quale ragione questo capitalismo gangster dovrebbe lasciarsi sottrarre vaste zone permettendo la rinascita di mercati locali protetti? Al massimo, potrebbe tollerare in una piccola valle un esperimento del genere, ma lo trasformerebbe in una curiosità, una sorta di Disneyland sociale, e organizzerebbe l’afflusso dei turisti. Certi esperimenti sono ammessi solo se isolati. Il parco di Yellowstone, ad esempio, vuol dare a chi la visita o  ne vede i filmati, l’idea di un’America che protegge gli animali e i boschi. In realtà serve a celare, dietro a un’immagine idilliaca, un regime spietato che distrugge  natura ed esseri umani, non solo in casa propria, ma anche nel resto del mondo con le guerre.

Si pensa che la tecnica, di per sé, possa risolvere tutti i problemi. Le energie rinnovabili ? Dopo la fase sperimentali, i grandi paesi si sono gettati in questa produzione, e la Cina sta vincendo la concorrenza, persino industrie tedesche hanno dovuto abbandonare il campo, altro che piccola produzione locale. I carburanti di origine vegetale, entrati nella fase industriale, richiedendo grandi quantità di mais, hanno affamato intere popolazioni. Le tecniche nuove sono armi a doppio taglio, tutto dipende dall’uso sociale che se ne fa. Una nuova macchina, se usata capitalisticamente, getta nella strada migliaia di operai, se usata socialmente può ridurre l’orario di lavoro e la fatica di chi lavora. L’energia solare, eolica, geotermica non sfuggono a questa regola.

Le nuove tecniche, più sono evolute, più indeboliscono i settori sociali al tramonto. Le classi sociali fondamentali nel capitalismo sono tre: imprenditori (dell’industria, dell’agricoltura, del commercio…), proprietari terrieri e proletari. Più il capitale si sviluppa, più la piccola borghesia classica, residuo storico di sistemi produttivi precedenti, è in pericolo. E’ vero che si forma un altro settore di piccola borghesia strettamente dipendente dal capitale (benzinai, negozi in leasing, autoriparazioni…), ma cresce assai più rapidamente  il numero dei parassiti, faccendieri, speculatori, malavitosi, ecc.

La piccola borghesia ha sempre visto il comunista come il pericolo, il fanatico che le voleva portare via il negozietto, il campicello. L’espropriatore è invece il capitale, tramite la concorrenza, e con la catena dei debiti. Molti negozi già ora sono puri concessionari di grandi imprese, e molte terre di piccoli contadini sono in realtà delle banche, che detengono le ipoteche. Chi finora è riuscito a salvarsi non ci riuscirà in futuro, perché la crisi rende più aggressivi i grandi capitali che, non potendo aumentare i guadagni con l’industria, si dedicano alla rapina legalizzata, impadronendosi con mille trucchi, pressioni e minacce, dei beni delle piccole e medie imprese. Si aggiunga lo stato, che drena masse enormi di denaro dalle classi sociali più deboli per darle alle banche o alle grandi imprese.

Quindi, la piccola borghesia, lungi dal baloccarsi col sogno di un piccolo mondo socialmente antico, sia pur tecnologicamente al passo, deve rendersi conto che propria caduta nel proletariato è imminente. Un tempo, un negoziante, facendo studiare i figli, poteva sperare di dare loro un posto sicuro e ben rimunerato. Oggi, laureati in materie scientifiche, ricercatori chimici e fisici, impegnati in importanti ricerche, sono condannati al precariato e a stipendi che non superano di molto quelli di un manovale. Qualche individuo può sfuggire alla proletarizzazione, non la massa.

Non siamo condannati per l’eternità all’inferno capitalistico, con le sue guerre economiche e finanziarie - non meno terribili di quelle condotte con armi vere e proprie. Ma la soluzione non può essere locale e localistica. Bossi si è inventato un paese di pura fantasia, la Padania, e molti gli hanno creduto. Ha ancora meno senso immaginare una piccola Yellowstone sociale, al riparo dalle tragedie del capitalismo.

Il legame tra chi lavora e gli strumenti di lavoro, che esisteva nell’artigianato e nella piccola agricoltura, è stato infranto dal capitale, che li ha espropriati, ma nello stesso tempo ha reso sociale la produzione. Occorre espropriare gli espropriatori, ma tornare alla piccola proprietà, anche se fosse possibile su vasta scala, non impedirebbe la rinascita del capitalismo in breve tempo. Bisogna socializzare i mezzi di produzione, perché il ricongiungimento tra lavoratori e strumenti di lavoro è possibile solo in forma collettiva, salvaguardando la produzione di massa, non più finalizzata al profitto, ma alle esigenze della popolazione.

Se i lavoratori, la stragrande maggioranza dell’umanità, riusciranno a conquistare il potere – con la rivoluzione, non con le chiacchiere elettorali - allora, al posto dell’uso capitalistico delle macchine subentrerà l’uso sociale, la riduzione dell’orario di lavoro di oltre la metà assorbirà la disoccupazione. Venendo meno le esigenze del profitto, sparirà la speculazione edilizia, la produzione di merci inutili e dannose, la pubblicità frastornante.  Con  le tecniche americane di demolizione degli edifici, una volta data un’abitazione a tutti, si potranno distruggere gli immobili superflui e riconquistare vaste zone all’orticultura, alle serre, alla vita sociale.

I socialdemocratici di un tempo, i Treves e i Turati, erano d’accordo su questi punti, ma s’illudevano che fosse possibile giungervi per via pacifica, parlamentare. I comunisti dissero che quella via era diventata impossibile per la crescita della burocrazia e del militarismo, e che occorreva abbattere l’imperialismo. Il capitalismo non avrà un tacito tramonto, ma con le sue guerre e le sue crisi metterà in pericolo l’intera umanità, se la classe operaia e le classi sfruttate non sorgeranno per schiacciarlo definitivamente.

Michele Basso

10 agosto 2012

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