mercoledì 6 giugno 2012

Preambolo a "Illusioni perdute dell'altro mondo"

Inizia con un articolo di Pierre Macherey Illusioni perdute dell'altro mondo questa incursione nei territori del Web. Gli articoli scelti hanno in un certo senso lo scopo di approfondire gli argomenti trattati nei miei post, oltre che completarne il discorso meglio di quel che sarebbe capace di fare il sottoscritto.
L’articolo è tratto da Sinistra in Rete, sito consigliato su questo blog, serbatoio inesauribile di notizie e articoli di critica prevalentemente di orientamento marxista.

Pierre Macherey è storico della filosofia, allievo di Althusser e co-autore del celebre Lire le Capital nonché allievo dello Canguilhem, eminente storico della scienza che fu, come Althusser, direttore dell'Istituto di Storia delle Scienze di Parigi. Pierre Macherey è un’importante figura di riferimento nel dibattito tra marxismo e post-strutturalismo che ha coinvolto diversi studiosi europei.
L'autore affronta il discorso dell’immaginario utopico nella sua funzione di impulso al cambiamento, cioè in quanto contributo alla costruzione di riferimenti capaci di guidare trasformazioni del mondo reale verso nuovi “paesaggi” e prospettive. Ho affrontato anche se in modo un po’ superficiale la questione in Redenzione e Utopia e in altri post.

Non condivido in senso stretto l’affermazione dello stesso Macherey quando sostiene che “Il comunismo, l'umanità probabilmente non lo vivrà mai, in fondo, tanto meglio: ma tutto ciò non impedisce che essa se ne serva come di un'idea regolatrice che ne stimola il progresso; a questo titolo sì, è e deve restare un'utopia.” intanto perché il marxismo non è, e non si presenta nella sua elaborazione teorica, come utopia, se non soltanto nell’interpretazione di alcuni autori, e, in secondo luogo perché il comunismo non è un progetto prestabilito e non lo era nemmeno nel pensiero di Marx. Ne condivido, invece, il senso sotto l’aspetto semiotico e non v’è dubbio che storicamente il marxismo abbia svolto tale funzione.

Occorre dire, d’altronde, che se il “socialismo reale” è stato quel che è stato, con tutte le storture, le aberrazioni, le deviazioni e così via non cambia un fatto sostanziale: esso è stato soprattutto un messaggio di riscatto e di speranza per le “masse” oppresse, progetto e prassi in cui esse hanno creduto e lottato non senza grandi sofferenze. Il fallimento del “socialismo reale” non era già scritto in qualche luogo del mondo o della storia, e giudicarne ex post la sconfitta è sin troppo facile e non toglie nulla al significato di quelle “utopie” (rigorosamente tra virgolette per non creare fraintendimenti).
Si può dibattere degli (e sugli) errori che il “socialismo reale” ha commesso, ma meglio sarebbe dire – i suoi artefici hanno commesso -, analizzarne fatti ed eventi, ragionare e ripensare gli aspetti teorici e prasseologici, ma non v’è dubbio che il XX secolo sia stato segnato dalla comparsa di questa enorme marea destabilizzante per il sistema capitalistico, anche se, inutile dirlo, le maree hanno “alti e bassi”.

A distanza di circa un secolo si ha quasi l’impressione di essere arrivati alla conclusione di un lungo viaggio, di essere giunti a una qualche stazione accorgendoci che forse è quella sbagliata. Per una reale impossibilità o perché una stazione diversa non esisteva può essere questione di opinioni, resta il fatto che consapevoli che il lungo viaggio non ha portato l’umanità dove molti si attendevano, pare ancora attanagliarci un grande smarrimento. Anche se alcuni tentano di mascherarlo.
La fine del viaggio è (pare) la fine delle “grandi narrazioni”. Dopo questa fine, che non è certo la fine della storia, uno degli interrogativi da porsi è: parlare di utopie è ancora possibile? E quale senso ha? O anche in altri termini: il mondo è destinato a seguire un’evoluzione più o meno inevitabile, come sostiene Fukuyama, verso la democrazie borghesi occidentali (e i mercati) o esistono alternative concrete a questo processo?

La mia osservazione personale (per quel che vale) alla luce degli eventi di quest’alba del terzo millennio è che sono tramontate, è vero, le utopie, ma a quanto pare è ancora aperto di fronte agli oppressi e agli sfruttati, ai proletari, ai lavoratori un futuro di possibile cambiamento e di riscatto. Sono tramontate le utopie, ma si sta probabilmente facendo strada una maggiore consapevolezza del mondo, dei suoi limiti e della possibilità di un passaggio più concreto ad una nuova era, con molte meno illusioni. In altri termini il passaggio ad un nuovo sistema di “cose“ si può affrontare con maggiore disincanto, ed è forse un bene piuttosto che un sintomo di debolezza.

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